PERCHÉ “EVERYTHING EVERYWHERE ALL AT ONCE” HA TRIONFATO AGLI OSCAR
Si è conclusa la 95esima edizione dei Premi Oscar, che ha visto come indiscusso dominatore il fenomeno Everything Everywhere All at Once con ben sette statuette, comprese quelle per il Miglior Film e Miglior Regia ai Daniels
di Davide Colli
Anche con lo stupore ormai sedimentato, che dovrebbe permettere una visione degli eventi più lucida, appare tuttora miracolosa l’incetta di premi ottenuti da quello che ormai si può solo definire come il caso cinematografico del 2022, Everything Everywhere All at Once. Per dovere di cronaca, gli Oscar guadagnati durante l’estenuante serata sono stati quello a Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Attrice Protagonista a Michelle Yeoh, Miglior Attore Non Protagonista a Ke Huy Quan, Miglior Attrice Non Protagonista a Jamie Lee Curtis, Miglior Sceneggiatura Originale e Miglior Montaggio.
Questa importante lista di statuette, insieme all’ottimo bottino ottenuto anche da Niente Di Nuovo sul Fronte Occidentale (quattro), ha lasciato l’ottima concorrenza in alcuni casi con un solo premio (Top Gun:Maverick, Avatar – La Via dell’Acqua), in altri addirittura imperdonabilmente a bocca asciutta (The Fabelmans, Tàr, Gli Spiriti dell’Isola). Risulta assai complicato ammettere che il film dei Daniels fosse il candidato più meritevole per ogni categoria in cui ha trionfato, più che altro per la rilevanza qualitativa dei titoli con cui gareggiava che per demeriti specifici del film. Eppure, Everything Everywhere All at Once è l’opera che meglio ha saputo inserirsi nella narrativa Oscar, nelle sue regole e ricorrenze, raccontandosi alla perfezione ai numerosi votanti.
I premi attoriali di Everything Everywhere All at Once ne sono l’esempio lampante, in quanto ognuno di essi contiene una storia di riscatto che gli altri candidati non potevano vantare. A partire dal primo riconoscimento all’attrice protagonista conferito a una donna asiatica (Michelle Yeoh), per poi arrivare al ritorno sulle scene di un attore che ha intrapreso la carriera recitativa da giovanissimo, rimasto nel dimenticatoio per un ventennio (Ke Huy Quan) e, infine, un’amata icona hollywoodiana presente nell’industria da più di quarant’anni mai premiata dall’Academy (Jamie Lee Curtis). Anche l’Oscar al Miglior Film, nelle logiche delle edizioni precedenti, appare sensato: tra i lungometraggi candidati è forse quello che meglio riassume l’anno passato, cinematograficamente parlando, e che riflette lo zeitgeist hollywoodiano per linguaggio espressivo e tematiche trattate. Una valida alternativa sarebbe potuta essere Top Gun: Maverick, il film che, come definito dallo stesso Steven Spielberg, «ha salvato il culo alle sale».
Per quanto questi “algoritmi” si distacchino notevolmente da un sempre più inafferrabile concetto di meritocrazia, la cerimonia dello scorso weekend ha superato in ascolti, con una percentuale a doppia cifra, le edizioni più recenti, forse meno in grado di racchiudere nel racconto di una serata un intero anno di cinema.
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