UN MASCHIO IN ACQUA
Bullizzato per aver scelto uno sport “da femmine”, il nuotatore Minisini racconta la sua storia e le sue debolezze nel libro Il maschio, mentre si avvicina il debutto delle gare di nuoto artistico maschile alle Olimpiadi 2024 di Parigi
di Gaetano Moraca
Un impalpabile accento romano e un leggero rotacismo non adombrano la sicurezza nel timbro che sconfessa i suoi 27 anni. Giorgio Minisini, nuotatore e più volte campione del mondo, parla di sé, dei suoi traumi e delle sue debolezze con voce ferma e sicura, come di chi ha analizzato a lungo la sua storia ed è riuscito a tracciarne i contorni.
Con una madre nuotatrice artistica e un padre giudice internazionale di nuoto sincronizzato, Giorgio Minisini sin da piccolo non ha avuto dubbi su quello che voleva fare da grande. Ma di certo a sei anni, età in cui ha iniziato ad allenarsi, non sapeva a cosa sarebbe andato incontro. Non sapeva, per esempio, che sarebbe diventato campione mondiale (nel 2017 e nel 2022 nel misto) ed europeo (nel 2022, solo e misto), né che sarebbe riuscito a conquistare la Coppa del Mondo nel 2023. Allo stesso modo, a sei anni, forse non aveva bene idea di cosa avrebbe significato diventare un nuotatore professionista, di quanti sforzi, fatica e sacrifici imponga l’agonismo, ma probabilmente i genitori lo avevano preparato a questo. Quello che forse nemmeno loro avevano previsto sono state le difficoltà che Minisini in tutta la sua vita ha dovuto affrontare solo per aver scelto di praticare uno sport che, nel sentire comune, era prerogativa delle donne.
È esemplificativo infatti che nei Mondiali di nuoto, il nuoto artistico sia stata una disciplina sportiva da cui i maschi sono stati esclusi fino al recentissimo 2015. Quell’anno, infatti, la FINA decretò l’ingresso degli uomini a gareggiare nelle competizioni mondiali, aprendo di fatto la strada ad un’altra svolta epocale: lo scorso dicembre 2022 è stato ufficializzato che, nel programma del nuoto artistico delle prossime Olimpiadi di Parigi 2024, saranno presenti anche gare riservate agli atleti maschi (singolo, squadre e coppia).
Eppure abbattere stereotipi e pregiudizi è un processo lungo, doloroso, che rischia di far vacillare anche le persone più risolte. Per tutta la vita Minisini si è sentito schiacciato tra la pulsione viscerale verso la sua passione più grande e quello che il mondo esterno si aspettava da lui. «Un giorno a scuola un bullo mi si avvicinò e disse: “Ma tu sei quello che fa i balletti in acqua con le paillettes e i brillantini?”. Fu quella la prima di una lunga serie di umiliazioni. Mi chiamavano “sincrofrocio”, oppure “checca”». Oltre alla durezza degli allenamenti – che forse solo chi per alcuni anni ha praticato sport a livello agonistico può capire – Giorgio Minisini ha dovuto scontrarsi con le prese in giro, gli insulti e con quella costante sensazione di non essere mai al posto giusto. Dopo anni di terapia che è servita a fare ordine, oggi il nuotatore campione del mondo è in libreria con Il maschio – Come inseguire i sogni senza perdere se stessi: la mia vita nel nuoto artistico, uscito per Sperling & Kupfer, che l’atleta porta nelle scuole con un obiettivo: «Spero che la mia esperienza possa essere d’aiuto, a qualcuno che l’ha smarrita, a ritrovare la strada. O ancora meglio a non perdersi».
Perché nella giovane e dorata parabola sportiva del nuotatore, si celano ombre e debolezze sfociate in un ricorso malato al cibo come una specie di autoflagellazione, fino anche a episodi di depressione, che Minisini ha reso pubblici per la prima volta quest’anno in un’intervista al “Corriere della Sera”. Gli stereotipi machisti, il doversi giustificare (come se poi fosse una colpa) di non essere gay, il dover costantemente spiegare che la disciplina non consiste nel fare balletti ricoperto di lustrini, non sono stati il solo scoglio da superare. Ingombrante è stata anche la competizione, il costante superare i propri limiti e lavorare, lottare per inseguire il proprio sogno. «Cresciamo con la convinzione per cui “se ti impegni ce la fai”, e la inseguiamo ciecamente, trasformando il lavoro in obbligo, le sfide in esami, le soddisfazioni in numeri. Così vincere diventa solo prevalere sugli altri, ignorando quanto l’esito di qualsiasi competizione sia in mano alla fortuna. E soprattutto smarrendone il senso».
Di recente, durante un incontro con i ragazzi delle superiori all’interno del Festival di “Internazionale” a Ferrara ha raccontato: «Al mio primo mondiale ci sono arrivato dopo 13 anni in cui mi sono sentito sbagliato o ignorato. Ero concentratissimo, nella mia testa non potevo fallire, perché ogni passo falso avrebbe dato ragione ai miei detrattori. Così facendo mi sono perso una parte di quella che doveva essere l’esperienza più bella della mia vita: questo è il rischio di vivere per compiacere gli altri più che se stessi». La cosa più difficile da fare, dice Minisini, è riuscire a perdonare se stessi per come ci siamo maltrattati e ad avere chiara una cosa: «nessuna scelta è definitiva, si può sempre tornare indietro, nello sport, nella scuola, nel lavoro. È una stupidaggine l’ossessione di fare sempre la scelta giusta». Adesso c’è impazienza per i Mondiali di Doha di febbraio 2024 che gli varranno le qualificazioni per le Olimpiadi di Parigi, le prime dove anche i maschi saranno ammessi a partecipare. E Giorgio Minisini potrebbe essere il nostro uomo.
Articolo pubblicato su WU 122 (novembre 2023)
Nella foto in alto: Giorgio Minisini insieme a Lucrezia Ruggiero
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