FUORI DAL TEMPO
Nel quartiere di Williamsburg, a poche centinaia di metri dalla zona più hipster di New York, un’enclave di ebrei ortodossi sopravvive mantenendo regole e tradizioni che contrastano con la modernità che li circonda
di Stefano Ampollini
Non è un periodo facilissimo per gli ebrei in giro per il mondo. La guerra scatenata all’interno della Striscia di Gaza a seguito dell’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre, ha aperto un ampio dibattito sulla sproporzionalità della reazione israeliana. Molti rimproverano al Governo di Benjamin Netanyahu un’aggressività verso un popolo che ha avuto la colpa di sostenere fino a oggi più o meno volontariamente un gruppo terroristico. A farne le spese, tra gli altri, uomini e donne di fede ebraica sparsi in giro per il mondo presi di mira per la politica scellerata del leader del governo israeliano.
Non è una novità, in realtà. Già nel corso dei secoli e ancor prima della Shoah gli ebrei sono stati discriminati anche per il loro rigidissimo attaccamento a usi e regole di vita tradizionali difficilmente assimilabili con i popoli con cui convivevano. Per questo, spesso, come forma di protezione e autoconservazione sono stati gli stessi ebrei, soprattutto ortodossi, a scegliere di isolarsi e, di fatto, “ghettizzarsi”. Una delle comunità più numerose al di fuori di Israele si trova a Brooklyn, ed esattamente a sud del ponte di Williamsburg, lungo Bedford Avenue. Chiunque giunga da queste parti rimane impressionato dal fatto che a poche centinaia di metri, a nord del ponte e attorno alla stessa via, negli ultimi anni si è invece sviluppato uno dei sobborghi più ricchi e hipster di tutta la Grande Mela, con affitti alle stelle e locali di tendenza, oltre a una ricca e variegata scelta di street food per tutti i gusti.
Tutto l’opposto di quanto avviene nella zona ebraica, dove invece non esistono locali, solo qualche minimarket e tavola calda kosher, e il tasso di povertà è uno dei più alti di tutti gli Stati Uniti. Non è raro infatti vedere rabbini e giovani donne rovistare tra i bancali di cibo abbandonati lungo le strade. Anche questo rende New York e il suo melting pot, spesso così carico di contraddizioni, uno dei luoghi più affascinanti del pianeta. La storia della Williamsburg ebraica affonda le radici all’inizio del secolo scorso quando un ampio gruppo di chassidici, ebrei ultraortodossi provenienti dall’Europa dell’Est, ha iniziato a popolare quella che fino ad allora era solo una piccola enclave, cresciuta poi in misura considerevole a cavallo della Seconda Guerra Mondiale.
I rigidi dettami della loro religione obbliga questi ebrei ortodossi a mantenere stili di vita tradizionali, completamente anacronistici e resi ancor più stridenti rispetto alla modernità della città che li ospita. Recentemente alcune serie tv e docu-film di grande successo su Netflix come Unortodox e One of Us hanno svelato al grande pubblico alcune delle rigidità più evidenti di questa comunità, come i matrimoni combinati e il divieto dell’uso di internet. Passeggiare tra le vie del quartiere, con folle di bambini che salgono su scuolabus con scritte in ebraico, donne intente a fare la spesa tra i banchi di negozietti che vendono di tutto e uomini che camminano in fretta parlando al cellulare (non smartphone), porta indietro a epoche che molti di noi neppure hanno vissuto.
Talvolta tra gruppetti di adolescenti con i payot, i lunghi riccioli imposti dal Levitico (il terzo libro della Torah), chiusi in cerchio per confabulare e fumare qualche sigaretta, può capitare di veder spuntare un ragazzo ispanico, oppure asiatico, in pausa dal lavoro in qualche attività commerciale della zona. Questi pochi volti diversi da tutti gli altri rappresentano uno stacco quasi straordinario rispetto all’immagine univoca e monolitica fatta di uomini in abiti neri tradizionali come il rekel (il lungo cappotto nero, indossato anche in estate) e le frange bianche dette tzitzìt, e donne con i foulard a coprire le parrucche e lunghe gonne fino alle caviglie. Persino le grandi affissioni pubblicitarie riportano questi simboli e il Jewish district, che si spinge fino a Borough Park, forse anche a causa del complicato contesto globale, rappresenta ancora per gli ebrei ortodossi che qua ci vivono un guscio sicuro entro il quale sentirsi protetti, preservare le proprie tradizioni e nascondere i propri limiti di fronte alla modernità che li circonda.
Articolo pubblicato su WU 123 (dicembre 2023)
In alto: foto di Stefano Ampollini
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