GENERIC ANIMAL – IL CANTO DELL’ASINO
Luca Galizia è arrivato al quinto album in studio, quello per celebrare «la fine dei suoi vent’anni» e che ha visto la partecipazione di pochi – ma fidati – amici. A breve lo potremo sentire dal vivo, visto che presto sarà sui palchi dei nostri club
di Dario Buzzacchi
Con Il canto dell’asino, Generic Animal ci regala un disco prezioso. L’album uscito per La Tempesta lo scorso ottobre è il suo lavoro più maturo e complesso. Una graphic novel, più che un disco, diviso in tredici tracce e tanti momenti, tra atmosfere fiabesche e chitarre distorte, tra rock e cantautorato. Ad accompagnare l’uscita del disco, un tour che porterà Luca Galizia e Il canto dell’asino in giro per l’Italia quest’inverno: il 21 febbraio a Roma (Alcazar), il 22 a Terni (Baravai Festival dell’Amore), all’ARCI Bellezza il 26 febbraio. In attesa di vederlo live, questo è quello che ci ha raccontato.
Partiamo da Il canto dell’asino. Anzi, dall’asino: cosa rappresenta per te questo animale?
L’asino per me è un animale molto comune, ma spesso nascosto dalla sua timidezza, tra animali altrettanto comuni ma più rilevanti e belli a livello iconico e simbolico. È un mammifero con una sua misteriosa riservatezza e con una serie di luoghi comuni che lo accompagnano. Informandomi e leggendo ricerche casuali su Google, ho scoperto che è molto utilizzato nella pet therapy: gli asini sono animali estremamente intelligenti ed emotivi. La loro durezza e testardaggine sono reali, ma costituiscono anche un pregio: li aiutano a resistere al tempo e alla fatica del lavoro continuo.
Hai descritto questo album come «un inno alla fine dei tuoi 20 anni». Si tratta solo di un fattore temporale o c’è stata un’esperienza particolare che ha segnato questa transizione?
Senza dubbio è un disco che ha attraversato le intemperie del tempo e del Covid, per quanto ormai non se ne parli più. È nato in un contesto di accumulo, con idee sparpagliate nel tempo e tra le uscite di altri dischi ed EP che ho pubblicato. Non riesco a individuare un’esperienza particolare che abbia segnato l’inizio o la fine di questo lavoro, se non l’incontro con Giacomo (Yakamoto Kotzuga, NdR), che mi ha aiutato a forgiare questo disco.
Ci racconti come è nata la sinergia con lui e cosa ha aggiunto (o modificato) al tuo processo creativo musicale?
Con Giacomo ci siamo conosciuti ufficialmente e siamo diventati amici nel 2021, nonostante fossimo già fan reciproci e conoscessimo bene il lavoro l’uno dell’altro. Inizialmente la sua presenza doveva essere quasi un supporto tecnico: gli avevo chiesto di aiutarmi a mettere ordine nelle mie demo e a impostare le radici di questo nuovo disco. Lentamente siamo entrati in un turbine di condivisione e creatività, fino a decidere di completarlo insieme. Mi ha supportato fino alla fine, aiutandomi a chiudere questo lavoro.
In Karaoke ospiti Marta del Grandi. Come è nata l’idea di includere un’altra voce in un disco molto personale?
Sono un grande fan di Marta e un grande estimatore del suo ultimo disco Selva. Avevamo amici in comune e ci siamo conosciuti quasi per caso. Da questa nuova amicizia è nato un rapporto di leggerezza e di scambio musicale. Quando ho concluso la scrittura del disco, ho deciso di chiederle di prestare la sua voce, e lei ha accettato. È nata così questa cosa un po’ magica.
Musicalmente, hai detto che questo è il tuo disco “più suonato”. Cosa ti ha portato a scegliere una dimensione così fisica per le tracce?
In Italia, “più suonato” spesso significa l’uso di amplificatori e batteria, ma in realtà tutti i miei dischi sono particolarmente suonati. Questo ha più volume, meno strati e una maggiore densità di frequenze. Non si tratta propriamente di una scelta fisica, quanto piuttosto di una scelta di produzione e di gestione dello spazio stereo.
Ne I grandi concludi con un salvifico: «spero a sessant’anni di vivere tranquillo». Cosa vuol dire per te vivere tranquillo? Come ti auspichi sia una tua maturità “nel chill”?
Penso che sia quello che tutti noi Millennial vogliamo: arrivare a sessant’anni e scoprire che alla fine è andato tutto bene, che questa piccola fine del mondo che stiamo vivendo ogni giorno (almeno da 5/6 anni, per me sembra così) era solo una sorta di Medioevo. Non ho una definizione del mio “chill”, non penso di averla mai avuta. Mi piace la semplicità del relax casalingo, pensare che entro fine anno andrò in montagna a sentire l’odore dei pini e a mangiare la polenta, o che d’estate farò tuffi al lago.
Nei video e nei visualizer dei singoli estratti, c’è una cura particolare nell’estetica, quasi fosse parte integrante del racconto. Qual è il filo conduttore visivo che hai voluto sviluppare per accompagnare Il canto dell’asino?
La parte visiva è per me fondamentale, anche se devo dire che in passato non ne sono sempre stato soddisfatto. Con questo disco penso di essere riuscito a mantenere una narrativa in continuità con i precedenti lavori, aggiungendo però elementi più inquietanti e fiabeschi. Ho voluto mantenere quella “imperfezione perfetta” che è da sempre parte del mio progetto.
Guardando al tuo percorso, come è cambiato Generic Animal dall’esordio a oggi? Cosa hai conservato e cosa invece si è evoluto irreversibilmente?
In realtà non sono cambiate troppe cose dall’inizio. Forse essere pelati dà l’illusione che il tempo non passi. Vivere di passione per la musica – e anche un po’ di dovere – non è qualcosa che si cambia facilmente. Ho lasciato un po’ da parte la chitarra classica per attaccarmi all’elettrica: nulla di particolarmente nuovo, ma ho cercato di superare la mia pigrizia. Ho iniziato a produrre e aiutare altre persone con i loro progetti musicali, in maniera più libera e meno legata al mercato. Lavo- rare con la musica è difficile, soprattutto in Italia e soprattutto se non vuoi avere capi. Ma io non ne ho mai avuti, e questa è sicuramente una cosa rimasta invariata.
Tra poco sei in tour con Il canto dell’asino. Cosa possiamo aspettarci dai tuoi concerti?
Ci sarà tanta musica, perché siamo arrivati a cinque album. La scaletta sarà interessante: grazie a questo ultimo disco, ho la possibilità di aggiungere più elementi strumentali e rendere il live più etereo e aperto alla sperimentazione. Nella band ci saranno Fausto Cigarini, Visconti e Giacomo Ferrari, che sono già stati miei compagni di scrittura e live nel progetto Liquami.
Prossime date:
21 febbraio 2025 Roma – Alcazar
22 febbraio 2025 Terni – Baravai Festival dell’Amore
26 febbraio 2025 Milano – ARCI Bellezza
28 febbraio 2025 Bologna – Covo
01 marzo 2025 Torino – Spazio 211
Nella foto in alto: Generic Animal, foto di Claudia Ferri
Quest’intervista è stata pubblicata su WU 129 (dicembre 2024)
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