DANIELE CASTELLANO – SOUVENIR DA UN ALTRO MONDO
È famoso per le sue illustrazioni, ma approccia questa professione dando importanza al gesto del disegno e al tempo che richiede. Forse per questo è in grado di portarci in una dimensione con un fascino particolare
di Enrico S. Benincasa
Si fa fatica a non rimanere affascinati dai lavori di Daniele Castellano. Illustratore originario di Rimini, oggi a Bologna, ha studiato prima pittura all’Accademia di Brera per poi arrivare all’illustrazione grazie ai corsi dell’ISIA di Urbino. Questo background, unito ai suoi interessi e a un tratto molto personale, è parte delle ragioni che gli permettono di creare mondi nel quale è un piacere perdersi. Negli anni ha lavorato con testate come “The New Yorker”, “The Atlantic” e “The New York Times”, ma quello che impressiona, parlandoci assieme, è il rispetto nei confronti del disegno, del gesto, della materia, del tempo e del soggetto oggetto di un lavoro. Iniziamo la nostra chiacchierata parlando di uno dei suoi ultimi lavori, che ha a che fare con la musica, altra sua passione.
Recentemente hai realizzato la cover di Isla Diferente, l’ultimo disco di Populous. Non è la prima volta che lavori a un artwork di un album: come approcci il lavoro di illustrazio- ne quando hai a che fare con la musica?
Dipende molto dal disco proposto e dall’impostazione dell’artista. Con Isla Diferente è stata la prima volta perché, a differenza di altri lavori, si tratta di un disco di elettronica dove le parti testuali, che possono essere un elemento che dà spunti per la narrazione visuale, erano poco presenti. In questo caso c’è stata un’immersione in un’atmosfera e un luogo, in questo caso un’isola immaginaria che prende spunto da un’isola reale, Lanzarote, luogo che mi affascina molto per il suo essere scuro e luminoso allo stesso tempo. Con Populous ci siamo capiti subito e siamo partiti dall’isola, dalla sua atmosfera notturna e da una sensazione, un misto di magia e spiritualità, che ci ha aiutato a circoscrivere un’atmosfera. In altri casi è stato necessario parlare e allinearsi, anche per capire i nuclei tematici del disco. Il lavoro, così, diventa più di stampo concettuale e narrativo e meno evocativo, per quanto io con le immagini cerco sempre di evocare delle atmosfere più che spingere sulla parte narrativa.

La cover di ‘Isla Diferente’, il nuovo disco di Populous, realizzata da Daniele Castellano
Questa esigenza di evocare più che di narrare mi fa riflettere sul fatto che la figura dell’illustratore non ti si possa sovrapporre al 100%. Ti ritrovi in questo scenario?
Sì, anche io ho difficoltà a identificarmi completamente con la figura dell’illustratore. Quando disegno ho bisogno di legarmi all’oggetto in sé, al gesto, ai materiali. A volte mi hanno detto che i miei originali sono difficilmente riproducibili, che è un discorso che in linea generale vale per chi utilizza tecniche pittoriche. Per farlo rendere di più, una volta diffuso in maniera esponenziale, spesso la soluzione è sacrificare qualcosa. Questo processo alle volte è frustrante e mi fa pensare che, il mio approccio, sia molto legato all’artigianato e la pittura.
Questo è il tipo di approccio alla creatività che ti fa stare bene?
Sì, ed è anche il motivo per cui impiego tempo per i miei lavori. Mi piace farlo perché sono momenti in cui sto bene. C’è una sorta di godimento del processo che per me è importante.

illustrazione per “The Atlantic” ispirata a ‘The Wasteland’ di T.S. Eliot (2022)
Nei tuoi lavori porti il pubblico in una sorta di mondo parallelo che esiste e che sembra abbia una collocazione precisa per te. Ce lo mostri e ci perdiamo dentro, ma non riuscia- mo bene a posizionarlo come fai tu…
Mi viene in mente una frase che ha detto Paolo Puck: per lui disegnare e fare sculture è come portarsi piccoli souvenir da un mondo immaginario a cui è molto legato, e che materializza per testimoniare l’esistenza di questo mondo. Mi sono ritrovato molto in questa visione. Il mio è un mondo che esiste da qualche parte, è un mondo possibile, è nella mia immaginazione ma ha una sua “versione” reale. So dove andarlo a trovare ed è legato a posti che ho visitato veramente o in una dimensione onirica, ma grazie al disegno riesco a renderlo vivo. Così facendo riesco a ritornare a delle sensazioni che altrimenti rimarrebbero in un posto che è suscettibile alla memoria, che può modificarsi, anche in peggio, o addirittura scomparire. Creare questi oggetti, quindi, è un’attività che mi fa sentire più al sicuro, più a contatto con questo mondo.
Da quando, durante la tua infanzia, ti hanno dato per la prima volta in mano un foglio e una matita, hai mai smesso di disegnare?
Ho iniziato come tutti da bambino e ho sempre disegnato da che ho memoria. C’è un momento, magari verso le medie, in cui inizi a fare paragoni con gli altri, e per questo molti smettono. Per me è stato molto naturale continuare, non è qualcosa che facevo con sforzo. Nel corso degli anni successivi, una tra le cose che mi hanno spinto a investire tempo nel disegno è stato Dragon Ball. Amavo l’ambientazione e le anatomie dei personaggi e ho passato tanto tempo a riprodurre scene del cartone fino a quando non venivano come volevo. Lo ricordo come un periodo di profondo automiglioramento. Non ho fatto il liceo artistico ma lo scientifico, ho fatto successivamente scuole d’arte ma tante cose le ho imparate da solo nel mio percorso.

illustrazione per il romanzo ‘Chiedi se vive o muore’ di Gaia Giovagnoli (2023)
C’è stato qualche turning point importante in questo percorso?
Ce ne sono stati vari, ma forse uno dei momenti in cui mi sono sentito sulla giusta strada è stato verso la fine del biennio di illustrazione. Venivo dall’accademia di pittura, sentivo di poter fare determinate cose ma non avevo ancora trovato la mia strada. Da appassionato di spazio e fantascienza, decisi per un progetto di prendere spunto da La nuova cosmogonia di Stanislaw Lem. È un lavoro che considero importante perché ho dato una forma visiva alle mie idee, anche grazie a dettagli tecnici come trovare delle matite adatte alla carta nera. Ma, sopratutto in quell’occasione, si è creata una convergenza tra quello che riuscivo a fare con le mani e quello che mi piaceva ed era “protagonista” nella mia testa.
Oltre allo spazio, nei tuoi lavori si nota una presenza abbastanza costante del mondo animale e di quello vegetale…
Anche questo ha a che fare con le cose su cui si ferma la mia immaginazione. Piante e animali mi hanno sempre interessato, anche da un punto di vista scientifico e filosofico. È difficile tracciare una linea marcata tra il mio interesse personale e la scelta dei soggetti che ritraggo, sono due entità che si rincorrono e si confondono.
Oltre a scrivere suoni anche con la tua band punk hardcore, i Lantern. A che punto siamo del percorso? State lavorando a qualcosa di nuovo?
In questo momento stiamo iniziando a scrivere un nuovo disco. Con gli altri membri dei Lantern, negli anni, ci siamo sempre presi i nostri tempi perché non tutti viviamo nella stessa zona, ma continuiamo a scrivere musica e suonare perché, durante il nostro percorso, siamo sempre riusciti a lasciarci libertà a vicenda. È un progetto musicale, ma lo considero soprattutto un gruppo di amici legati da un affetto che va al là di tutto. Speriamo di continuare a stare ancora assieme e a suonare anche nel corso dei prossimi anni.
Nella foto in alto: Daniele Castellano