GHEMON – LUPO NON PIÙ CUPO
Il tour che parte a fine novembre con una doppietta di date milanesi; un nuovo disco senza ospiti di lusso per combattere il male oscuro; l’amore per il calcio (meglio se biancoverde) e la passione per un basket senza confini. Potete stare tranquilli, il rapper originario di Avellino c’è
di Simone Sacco
Memore delle belle prove anni Novanta focalizzate da Neffa (quell’ibrido tra hip hop jazzato, soul e tanta melodia italiana di album come Neffa & i Messaggeri della Dopa e 107 Elementi), Ghemon riporta indietro le lancette del tempo con il suo quinto disco Mezzanotte. E torna a donarci vibrazioni che pensavamo perse in questo momento di trap imperante. Una ragione, ovviamente, esiste: la grande musica black americana (da Stevie Wonder a D’Angelo) è da sempre la coperta di Linus di Gianluca Picariello (il suo vero nome) e stavolta c’era pure da fare il tagliando all’anima. La sua, negli ultimi anni, se l’è vista brutta. Scopriamo perché.
Mezzanotte non è un disco hip hop, ma al massimo un album con del rap al suo interno. E non ha neanche un featuring: quasi una bestemmia per i canoni del rap italiano, no?
Il fatto è che era improponibile questa storia dei featuring. Mezzanotte è stato fin dall’inizio un progetto così personale che non avrei saputo davvero chi interpellare.
Dici sul serio?
Beh, mi sarebbe piaciuto Pino Daniele, ma non tramite un campionamento. L’avrei voluto in carne e ossa, ma purtroppo Pino non è più tra noi (sospira, NdR). Poi avevo pensato a Giorgia: ci conosciamo, le avevo scritto una mail, ma alla ne non ha funzionato. Meglio così.
Perché meglio così?
Perché io della “collaborazione di lusso” per sdoganare il disco in radio non ne sento il bisogno. Si tratta di una concezione vecchia dalla quale il rap italiano non riesce ancora a liberarsi. Se avverto che la tua voce può migliorare le mie canzoni, non ho problemi a farti salire a bordo. Altrimenti a posto così.
Prima parlavi di album “personale”: in percentuale quanto sesso, depressione e guarigione ci sono dentro Mezzanotte?
Direi 44, 44 e 12: esattamente in quest’ordine. La guarigione ha la percentuale più bassa perché questo non è un disco incentrato sullo stare bene, ma sul percorso che uno compie per arrivare a ciò.
Ultimamente hai parlato di “depressione” su un noto quotidiano: temevi che quell’intervista facesse così rumore?
Ho riflettuto a lungo prima di rendere pubblico il mio “problema”. Poi mi sono detto: «Magari qualcuno troverà del conforto in tutto ciò». La mia non è stata una sparata mediatica visto che ho voluto chiarire il concetto all’interno di un discorso molto più ampio…
Che inglobava anche l’utilità degli antidepressivi e del loro relativo supporto medico.
Potevano essere le medicine, così come lo shopping o l’andare in palestra. Quando soffri di depressione, ti attacchi a qualsiasi cosa pur di uscirne. L’importante è capire che quello è solo il punto di partenza: poi ci devi mettere del tuo per venirne fuori. Sai, credo che sia tremendamente sbagliato pensare che una pillola possa risolvere tutti i tuoi problemi. O che un briciolo di successo possa alleviare il tuo dolore.
Alleggeriamo i toni: hai già iniziato le prove in vista del tuo prossimo tour che debutta il prossimo 30 novembre a Milano con un sold out?
Sì, non ho mai smesso di maltrattare le mie Forze del Bene! (ride riferendosi al gruppo che lo accompagnerà dal vivo, NdR). Sarà un concerto alla The Roots, suonato al 100%, senza basi o un dj di supporto.
A dicembre la NBA sarà de nitivamente entrata nel vivo. A proposito, da fanatico di basket: prediligi di più il modello americano o la pallacanestro stile FIBA?
Entrambe, dal momento che vado pazzo sia per la spettacolarizzazione del gioco che per le regole più rigide della stessa FIBA mischiate però alla grazia dei fondamentali. Diciamo che tifo per il bello. Per me un canestro spettacolare vale come una giocata di gruppo. Una finta che ti lascia di stucco è l’equivalente di un terzo tempo ben eseguito.
Quindi non hai una franchigia americana di riferimento…
No, perché quando nel 2016 sono andato negli States per seguire le Finals NBA, speravo vincessero i Warriors di Steph Curry: quell’anno, d’altronde, sembravano davvero imbattibili. E invece hanno prevalso i Cavs di LeBron alla settima partita!
A tifo dell’Avellino (nel senso di società calcistica) invece come stai messo?
Eh, non ti dico il mio rammarico di avere solo 35 anni…
Significa che sei nato nel 1982 e quindi, a quei tempi, eri ancora troppo piccolo per goderti un Avellino che lottava strenuamente per restare in serie A…
Già. E ci siamo rimasti per ben dieci anni di la, dal 1978 al 1988, in quello che era considerato il campionato più bello del mondo!
Tra quei “lupi irpini” (De Napoli, Diaz, Bertoni, Colomba, Alessio ecc.). Chi hai avuto la fortuna di conoscere?
Rambo (De Napoli, NdR) l’ho beccato una sera al ristorante: non sapeva chi fossi e quindi mi sono avvicinato da semplice fan chiedendogli un selfie. Papà, inoltre, era amico di Salvatore Di Somma e il mitico capitano biancoverde era spesso ospite a casa nostra. Che bei ricordi…
Oggi chi “tifa” per la musica di Ghemon?
Mattia Perin, il portiere del Genoa, ha speso delle belle parole su Mezzanotte. La cosa mi ha fatto piacere e approfitto del vostro magazine per ringraziarlo.
Che succederà dopo il 29 dicembre, ultima data in quel di Brescia della tua tournée?
Mi prenderò una meritata vacanza. Niente di sontuoso, giusto una settimana per ricaricare le pile. E ripartire con i concerti attorno a metà febbraio.
Sanremo niente? So che il tuo attuale singolo Un temporale è stato rifiutato nell’edizione 2017, quella vinta da Gabbani…
Niente nella maniera più assoluta: scrivilo a chiare lettere. Come dici? Che stavolta organizza Baglioni? Eh, ci piaceva Claudio in famiglia. Mio papà, quand’ero un pischello, mi faceva sempre sentire i suoi dischi più famosi…
intervista pubblicata su WU 83 (novembre 2017). Segui Simone su Facebook.
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