CHK CHK CHK – PARTY LIKE IT’S 2017
Il primo disco dopo la scomparsa di Prince e il funk come cordoglio-terapia. Shake The Shudder è la nuova favola sudata della band di Nic Offer e ce la racconta lui stesso a pochi giorni dall’uscita, ovviamente su Warp Records
di Simone Sacco
Sette album in 16 anni. Gli altri buttano fuori pezzi solo in streaming mentre loro continuano a dare alla Warp vinili dove la musica black si fonde con l’elettronica più estatica. I Chk Chk Chk (o !!!) avranno pure nome impronunciabile, ma sono anche artisti in grado di suonare musica pensata per le sneakers. Shake The Shudder è il loro ennesimo esercizio di stile che non ti molla mai. Ne abbiamo discusso con Nic Offer, il cantante, in collegamento telefonico da Londra.
Ho sentito che per questo disco siete stati parecchio in giro.
Sì, abbiamo fatto delle jam session a Barcellona e poi ci siamo trasferiti in California per scrivere altre canzoni. A quel punto il nostro quartier generale di Brooklyn ci è servito per dare forma all’album. Teniamo molto a Shake The Shudder: lo consideriamo la nostra opera più meticcia, metà europea e metà americana.
Per uno strano gioco mentale quel titolo mi ha fatto pensare agli Shudder To Think: ti ricordi questo gruppo?
Certo. Erano una indie band anni Novanta di Washington, ma onestamente non sono mai stato un loro grande fan. Il fatto è che shudder continua a restare una parola potentissima (la ripete come un mantra per una ventina di secondi, NdR). Mi suscita sempre delle emozioni quando la pronuncio: è un vocabolo così ricco di ritmo!
Una grossa mano, a questo giro, ve l’hanno data le cantanti: quante ne avete chiamate?
Un bel po’! Abbiamo coinvolto Lea Lea, Meah Pace, Nicole Fayu, Cameron Mesirow e Molly Schnick. Alcune sono nostre amiche, altre le abbiamo scoperte ascoltandole su Deezer o Spotify. Sai, questo non è un disco molto “maschile”, a parte me (ride, NdR).
Ritmo è proprio il termine giusto. Questa è l’opera più dance oriented di tutta la vostra carriera. Molto basica, per niente difficile da ascoltare.
Beh, quello è il fascino dell’elettronica: una musica che si rinnova in continuazione oltre che un enorme punto di riferimento per la nostra band. La sfida stavolta è stata quella di restare freschi come se fossimo ancora i Chk Chk Chk di dieci anni fa. Componendo però delle canzoni migliori.
Non ti è parso strano lavorare con così tante voci visto che, tirando le somme, il cantante solista sei sempre tu?
No, per me è stato un privilegio. Mi sono sentito come un regista intento a dirigere tante brave attrici differenti. Mi piace l’aspetto “cinematografico” del fare musica. Raccontare vicende sonore come se stessi adoperando la pellicola.
Quindi i tuoi testi sono pura fiction?
Insomma… Imaginary Interviews forse lo è anche se in quella canzone parlo di quanti personaggi imbarazzanti circolino oggigiorno nel music business. Throw Yourself in the River, invece, è quasi punk e contiene parecchia rabbia adolescenziale al suo interno (il ritornello, al contrario, sembra uscito da un brano dei New Order, NdR): è seria, ma anche scanzonata. E poi c’è pure una traccia personale come R Rated Pictures dove dialogo con la mia coscienza interiore e vengo a patti con certi “demoni” che tutti ci portiamo appresso.
Dancing is the Best Revenge è una affermazione politica come fu l’eccellente Me and Giuliani Down by the School Yard (A True Story) del 2003?
No, quella è solo una canzone che ci invita a rimanere noi stessi e fedeli alle nostre origini. Non ci stiamo ribellando contro qualcuno o qualcosa in particolare, ma siamo semplicemente lì a dire: «Hey, ricordati sempre cosa ti piace fare!». Venerate la dance, ma vi muovete su formati discografici (l’album) degni del rock. Guarda, a me i mix e i 12’’ esaltano, però da ragazzo ero un tipo da 33 giri. Uscivano i dischi di Madonna, New Order e Depeche Mode ed io me li ascoltavo dall’inizio alla fine entrando dentro ogni singola canzone. Ecco, una cosa che mi piacerebbe
Venerate la dance, ma vi muovete su formati discografici (l’album) degni del rock.
Guarda, a me i mix e i 12’’ esaltano, però da ragazzo ero un tipo da 33 giri. Uscivano i dischi di Madonna, New Order e Depeche Mode ed io me li ascoltavo dall’inizio alla fine entrando dentro ogni singola canzone. Ecco, una cosa che mi piacerebbe di quest’album è che il pubblico lo ascoltasse per intero, magari soffermandosi sulle canzoni. Sarebbe una cosa così controcorrente di questi tempi…
A giugno sarete al Primavera Sound di Barcellona, ma niente Italia a questo giro.
Torneremo in autunno: è una promessa. Ai tempi della promozione di As If abbiamo fatto quattro date e anche stavolta non mancheremo. Purtroppo, per quel che riguarda l’estate 2017, non c’era nessuna possibilità. Gireremo gli States in quei mesi.
Al Primavera assisterai a qualche concerto altrui?
Assolutamente sì. Il bello di quel festival, d’altronde, è scoprire la musica più eccitante che ti circonda. Ma niente nomi grossi, per carità: io preferisco le formazioni sconosciute o esordienti. Quelle che suonano sui palchi minori. Di solito si rivelano le più interessanti.
Questo è il primo album che i Chk Chk Chk incidono dopo la morte di Prince: sensazioni?
Ricordo quel maledetto giorno (sospira, NdR). Il mio telefono non smetteva di suonare e tutti i miei amici, neanche fosse stato il giorno del mio compleanno, volevano parlare con me, commentare quella tragica notizia, forse consolarmi.
Avete mai pensato di portare in tour una sua cover come stanno facendo i Flaming Lips con Space Oddity di Bowie?
Sarebbe bello, ma come fai a scegliere una singola canzone firmata da Prince? Ne lasceresti fuori troppe! La bellezza di Prince è che ha realizzato una tonnellata di musica e tutta di assoluta qualità. Lui resterà il mio eroe per sempre.
Forse il miglior modo per ricordarlo è stato realizzare un disco del genere. Dotato di un ritmo così scuro e gioioso allo stesso tempo.
Beh, Prince c’è sempre stato in ogni singola nota di ogni nostro singolo album. La sua ombra non poteva mancare neppure su Shake The Shudder. Una gran bella ombra, a dire la verità.
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