LAZZARO FELICE, LA BONTÀ AI TEMPI DEL BUONISMO
Il nuovo film di Alice Rohrwacher racconta la parabola laica di un giovane contadino troppo buono per essere compreso. Ispirato a una storia vera, strappa il premio per la miglior sceneggiatura a Cannes
di Gaetano Moraca
Da qualche parte nell’Italia centrale. Le proprietà della spietata Marchesa Alfonsina de Luna, regina delle sigarette, restano isolate per via di un’alluvione che ha spopolato dei suoi abitanti quelle impervie terre appenniniche. Solo una ventina di mezzadri continua a lavorare alle dipendenze della marchesa (una monocorde Nicoletta Braschi), la quale si scorda di comunicare loro che la mezzadria nel frattempo è stata abolita. Le famiglie numerosissime, che hanno smarrito non solo i legami col mondo esterno ma anche quelli di parentela, vivono stipate in un paio di casermoni e si ammazzano di fatica come bestie. Non hanno stipendi, alcun contratto, i bambini non vanno a scuola, non ci sono medici e per loro così deve andare.
Alice Rohrwacher esprime tutta la tenerezza per questa vicenda astraendola dal tempo e dallo spazio e narrandola coi toni della fiaba. Il Lazzaro del titolo (il debuttante e azzeccato Adriano Tardiolo) è un ragazzino quasi ventenne a metà tra il santo e lo scemo del villaggio. Come in ogni fiaba che si rispetti non ha i genitori, solo una nonna, e dagli altri è canzonato perché sempre disponibile e pronto a dire di sì. L’amicizia con il figlio ribelle e viziato della Marchesa (educato a suon di «gli esseri umani sono come bestie, animali. Liberarli vuol dire renderli consci della propria condizione di schiavitù»), che d’estate va in villeggiatura in quella landa Inviolata, lo porterà ad attraversare il tempo e lo spazio anche quando “il grande inganno” della marchesa verrà a galla e tutti i mezzadri verranno trasferiti in città, schiavi ora della povertà e stranieri in un mondo che intanto è cambiato.
La bontà di Lazzaro lascia senza parole e risulta quasi incomprensibile in questi nostri tempi spietati dove i buoni vengono appellati come buonisti (o falsi buonisti, in un capolavoro semantico basato su una tripla negazione) e la solidarietà deve nascondere per forza interessi opachi. Rohrwacher contrappone alla cattiveria della “gente” lo sguardo trasognato del giovane contadino, agli speculatori senza scrupoli la meraviglia dei gesti semplici degli sfruttati (che ricordano tanto i contadini di Olmi). Seppur con i suoi difetti Lazzaro Felice, che prosegue la delicata narrazione personale e ostinata di Alice Rohrwacher (con sorella Alba sempre al seguito), si colloca in un territorio a metà strada tra realismo magico, verismo e fiaba, aggiudicandosi il premio per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes. Lazzaro, il San Francesco laico che risorge e parla coi lupi, rappresenta tutti quei corpi celesti che si mettono sempre nell’angolo per far posto agli altri e che silenziosamente rimediano a tutto ciò che questi distrattamente calpestano. E quando la storia si accorge di loro, non ne comprende la santità e in breve tempo si affretta a farli sparire.
Foto in alto: Adriano Tardiolo in Lazzaro Felice, photo courtesy 01 Distribution
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