JUSTICE – UNA DONNA PER AMICO
Tornano i più credibili colleghi dei Daft Punk con un album dal vivo – ‘Woman Worldwide’ – che non ammette errori. Più una “giustificata” ignoranza rispetto ai successi della Francia campione del mondo di Mbappé e compagni
di Simone Sacco
La scena è questa: sono passate appena 48 ore dalla vittoria della nazionale francese ai Mondiali di Russia e, approfittando dell’unica data italiana dei Justice (lo scorso 17 luglio, siamo all’Ippodromo di Milano e in scaletta ci sono loro assieme agli MGMT), abbiamo l’opportunità di verificare come il duo più festaiolo dell’universo electro-dance francese abbia smaltito una gioia che, lungo la Senna, mancava da vent’anni esatti dopo il mondiale organizzato in casa. E invece, varcato l’ampio camerino con tanto di divanetto dalle smaccate fattezze napoleoniche, l’atmosfera è del tutto pacata e rilassata. Xavier de Rosnay (che risponderà a tutte le domande dell’intervista) indossa una camicia hawaiana e sgranocchia noccioline, mentre Gaspard Augé si rilassa e ascolta. Nel dubbio, parto con le mie domande.
Cosa avete fatto di epocale domenica scorsa?
Ci siamo svegliati a Barcellona, abbiamo preso un aereo e fatto subito tappa al Lago Maggiore. Ci siamo rilassati tutto il giorno, non pensando a niente, in vista di questo concerto.
Non avete visto la finale tra Francia e Croazia?
No. Siamo ovviamente felici che la nazionale abbia vinto la Coppa del Mondo, ma non sapremmo elencarti neanche il nome di un giocatore. I Justice e il calcio sono due mondi opposti.
Di football americano ve ne intendete però…
In realtà nemmeno di quello.
Strano. Ho visto una vostra intervista su YouTube e in quell’occasione indossavate i bomber di due squadre di New York: i Giants e i Jets.
Ah sì? E io che credevo che i Jets giocassero a baseball! (quelli sono i Mets, NdR) Te l’ho detto: in fatto di sport siamo proprio negati.
Eppure una sorta di correlazione c’è: nel 1998 la Francia vinceva il suo primo mondiale di calcio e i Daft Punk dominavano le classi che con il loro album di debutto Homework uscito 12 mesi prima. Ora i bleus sono di nuovo campioni del mondo e i Justice riempiono le arene. La storia in qualche modo si ripete?
No, pensiamo si tratti solo di una fortunata coincidenza anche se la nostra stima per i Daft Punk resta immutata. E poi noi, nel 1998, eravamo ancora al liceo a suonare con la nostra band fatta di basso, chitarra e batteria. Eravamo immersi dentro l’hard rock e il gangsta rap e del mondo esterno non sapevamo granché.
Hard rock o heavy metal classico?
Pescavamo un po’ da entrambi. Ci piacevano sia i Metallica che i Guns N’ Roses, gli Iron Maiden quanto gli AC/DC.
Ve lo chiedo perché in Woman avete inserito una traccia chiamata Heavy Metal e nel vostro album dal vivo A Cross The Universe sparavate sulla folla campionamenti dei Ministry e degli stessi Metallica…
Era inevitabile far risuonare dentro quelle canzoni ciò che abbiamo amato di più durante i nostri 15 anni. All’epoca il french touch ci piaceva, ma l’hip hop e il metal ci davano altre vibrazioni. Per un gruppo come il nostro è semplice rendere omaggio ai Metallica perché i campionatori ce lo consentono. Te li immagini invece i Judas Priest fare una cover dei Justice?
Insomma, non siete minimamente elitari. Eppure la stampa vi descrive spesso come idoli della generazione “bobo” (bourgeois-bohème) parigina. Che ne pensate?
Sappiamo che diversi giornalisti ci dipingono così, ma molti altri ci danno anche addosso per la nostra immagine. Fa parte del gioco, no? Per noi vale la riposta che avrebbero potuto darti i nostri idoli: ci interessa la musica, non le mode. Se ci piacesse la trap, stai pur certo che ci concentreremmo sul realizzare dei pezzi trap ben prodotti e non sul riempirci la faccia di tatuaggi!
A proposito, chi sono i vostri idoli?
I Beach Boys, Elton John, i T. Rex i Led Zeppelin.
Il povero Michael Jackson?
No, lui no. Artista enorme, ma ogni volta che lavorava ad un disco si circondava di personaggi incredibili come Quincy Jones o Teddy Riley. A noi piacciono quei talenti che sanno compattarsi con poche persone al proprio fianco. Marc Bolan è visto come un dio del glam, ma è andato ben oltre quel genere. E l’ha fatto da solo, mica coadiuvato da dieci produttori diversi. Oppure i Led Zeppelin: cosa suonavano alla fine? Hard rock, certo, ma anche blues e folk. Tutto sotto la regia di Jimmy Page, un altro uomo solo al comando.
A fine agosto esce Woman Worldwide che è un disco dal vivo cristallino senza le urla dei fan mixate all’interno delle tracce. Non ce ne sono stati tanti di esperimenti simili nel corso della storia musicale: concordate?
Il fatto è che i veri album live li abbiamo già fatti in passato con A Cross The Universe e Access All Arenas. Riascoltandoli non ci sono mai piaciuti granché perché erano troppi ruvidi e caotici. Si veniva sempre a perdere qualcosa della performance musicale in mezzo a tutto quel casino…
Ragionando così però non avremmo mai avuto Live at Leeds degli Who o certi concerti incendiari di Jimi Hendrix finiti su nastro, no?
Capisco, ma a noi interessava prendere le migliori parti suonate dal vivo, tratte da decine di show e mixarle ad hoc in studio sacrificando la presenza del pubblico. Woman Worldwide non è il nuovo disco dei Justice, è il tentativo di raccogliere assieme tracce perfette, da sogno, una volta tanto senza nessun errore.
A livello di nuovo album, invece, come state messi?
Ci piacerebbe uscisse nel 2020, ma non abbiamo idea di quanto tempo effettivo ci servirà per realizzarlo. Di solito in studio siamo sia meticolosi su certi brani sia decisamente “spicci” su altri. Come vedi, non c’è una regola nei Justice. O, perlomeno, noi non l’abbiamo mai codificata.
Intervista pubblicata su WU 90 (settembre 2018). Segui Simone su Facebook
La foto in apertura dei Justice è di Olivia Bee
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