STRANGER THINGS 3 E QUELLA VECCHIA CARA NOSTALGIA ADOLESCENZIALE
La terza stagione del fenomeno culturale ‘Stranger Things’, uscita su Netflix il 4 luglio, ci riporta per l’ennesima volta ad Hawkins, Indiana, per vivere un’altra volta un’avventura nell’America degli anni Ottanta
di Davide Colli
Non sono stati in pochi coloro i quali, una volta conclusa la prima stagione di questo show, hanno pensato che potesse perfettamente concludersi in questa maniera, senza il bisogno di estendere in durata le avventure di Mike, Dustin, Lucas ed Eleven. Oggi, tuttavia, a tre anni dall’esordio sul catalogo Netflix, una larghissima fetta di utenti in tutto il mondo si accinge a iniziare o a terminare un altro capitolo di questa vicenda soprannaturale a base di demogorgoni e ragazzini dagli insoliti poteri psichici: Stranger Things 3.
Il merito del successo di questa serie non consiste solamente nell’enorme successo dell’operazione (Stranger Things 3 è già stata completata da ben 40 milioni di utenti), ma anche grazie alla solida scrittura dei fratelli Duffer, i due showrunner dietro questo fenomeno. Correggendo il tiro e imparando dagli errori commessi nella precedente stagione, gli autori sfruttano la loro capacità di raccogliere e amalgamare citazioni e stereotipi dell’immaginario degli Eighties per darne nuova forma ed esaltarli. I richiami a un certo cinema di genere che ha conosciuto la sua fortuna proprio in quel decennio non vengono riproposti sotto una luce differente, che ha la doppia funzione di non annoiare lo spettatore più competente e convincere invece quello più casuale a recuperare i grandi capolavori senza i quali Stranger Things non potrebbe esistere.
La rielaborazione degli archetipi compiuta in Stranger Things 3 si può riscontrare anche nel lavoro di costruzione dei personaggi, più attento rispetto al passato. Sia i nuovi acquisti che i volti più noti sono indubbiamente frutto di una commistione di vari icone che hanno influenzato la cinematografia di quegli anni, tuttavia la mancanza di spunti puramente originali nella caratterizzazione dei protagonisti viene compensata dalla bravura e spontaneità degli attori (giovani e adulti) e dalle rapporti interpersonali che il racconto li porta a stringere.
Stranger Things 3, anche in misura maggiore rispetto all precedenti stagioni, funziona al suo meglio nei momenti di collettività, quando le capacità interpretative del singolo entrano in collisione con quelle del resto del cast, creando sequenze di irresistibile tenerezza. Le problematiche e le gioie che comporta l’adolescenza sono il focus principale di questa nuova ondata di episodi e la leggerezza con cui queste sono rappresentate sul piccolo schermo le rendono, paradossalmente, più coinvolgenti, pur riproponendo situazioni già viste in coming of age di qualunque tipologia.
La forza di Stranger Things, quindi, che altri prodotti improntati sulla nostalgia non hanno e che questa terza stagione riconferma, risiede in un notevole rimescolamento delle carte in tavola, mostrate innumerevoli volte ormai, ma che in questo caso acquistano un nuovo e inedito fascino.
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