C’ERA UNA VOLTA… A HOLLYWOOD E IL COMPLICATO AFFRESCO DI UN’EPOCA
‘C’era una vota… a Hollywood’ è il nono film di Quentin Tarantino e, con un cast stellare capitanato da Leonardo DiCaprio, Brad Pitt e Margot Robbie, si appresta ad arrivare (con colpevole ritardo) il 18 settembre anche nelle sale cinematografiche italiane
di Davide Colli
La carriera di Quentin Tarantino post Django Unchained si conferma essere una parabola nel percorso artistico di un regista tra le più interessanti a cui si sia assistito negli ultimi anni. Se già con The Hateful Eight si assisteva a un sovvertimento dei canoni del cinema di Tarantino, in C’era una volta… a Hollywood questo processo sembra essersi ultimato. La narrazione diventa più rarefatta, un sottile fil rouge rappresentato dai due protagonisti, Rick Dalton (Leonardo DiCaprio) e Cliff Booth (Brad Pitt), cavalieri erranti in una fragile e confusionaria Hollywood del 1969. Le loro avventure costituiscono il collante che lega ogni singolo episodio della pellicola, creando un compendio di situazioni agglomerate allo scopo di fornire un affresco favolistico di un periodo storico cruciale per la storia degli Stati Uniti d’America, che ha proprio in questo quartiere, simbolo del mondo dello spettacolo, il proprio centro nevralgico.
In C’era una volta… a Hollywood di Tarantino la paranoia è nascosta sottopelle in ognuno dei figuri che incrocia la propria strada con quella dei due personaggi principali, anch’essi in precario equilibrio tra una tranquillità quasi irreale e una disperazione di fondo concreta, quasi andasse a simboleggiare il limbo morale e ideologico del cittadino americano medio tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo. In questo panorama quasi fiabesco, i personaggi che appaiono allo spettatore come i più eterei sono proprio gli unici esistiti realmente: Sharon Tate, così come Charles Manson e Bruce Lee, diventano quasi controfigure delle rispettive controparti reali, quasi andassero a incarnare non tanto la loro vera essenza, ma l’idea di essi che domina la mentalità collettiva.
In questo caso, quindi, Manson diventa al tempo stesso un Macguffin e uno spirito la cui presenza aleggia per tutto il corso dello svolgimento narrativo, Bruce Lee uno strumento tramite il quale contribuire a costruire davanti agli occhi dello spettatore l’incredibile personaggio di Cliff Booth, mentre la Sharon Tate interpretata da Margot Robbie rappresenta un omaggio sentito all’attrice stessa, specialmente quando, avvolta dalle tenebre di una sala cinematografica, guarda il suo alter ego non tarantiniano recitare, creando un affettuoso effetto speculare e metanarrativo, che incrementa l’alone favolistico dell’operazione. Se si può considerare, quindi, C’era una volta… a Hollywood una prosecuzione di un certo distacco dagli stilemi classici del film di Quentin Tarantino, tuttavia non viene abbandonata la componente prettamente ludica del film, che emerge nell’esasperata violenza, qua messa in gioco in maniera più centellinata e ragionata, ma anche nell’estremo citazionismo nei confronti della cultura cinematografica, che ha specialmente come obiettivo l’industria italiana di quei floridi anni.
C’era una volta… a Hollywood costituisce quindi un importante tassello all’interno della filmografia di Quentin Tarantino, in quanto è riuscito nell’ardua impresa di creare un tableau vivant su celluloide, in grado di cristallizzare perfettamente lo spirito di quei tempi e nostalgia che l’artefice di questo monumentale quadro prova per essi.
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