DARK È DA GUARDARE TUTTA D’UN FIATO
Prima serie prodotta da Netflix in Germania, Dark presenta una storia avvincente ma un intreccio a tratti difficile da seguire. Una fotografia mozzafiato fa da cornice a una cittadina cupa in cui spariscono i bambini e si viaggia nel tempo
di Gaetano Moraca
Diciamolo subito: per Dark il binge watching è obbligatorio. E non perché sia una serie indimenticabile, ma per la complessità della trama e la copiosità dei personaggi. La nuova serie targata Netflix che aveva promesso di scaldare il vuoto lasciato dalla seconda stagione di Stranger Things, non convince pienamente seppur mette in campo un’operazione audace.
I riferimenti alla serie dei Duffer Brothers sono tanti, alcuni voluti, altri insiti nella trama, che alla lunga rischiano di apparire un po’ stucchevoli. Ci sono bambini scomparsi, cittadine scombussolate, eventi paranormali, ragazzi in bicicletta, nevicate di pollini e l’eterno ritorno degli anni Ottanta. Considerando la tempistica è lecito credere che, mentre usciva Stranger Things, i creatori di Dark – Baran bo Odar (regista) e Jantje Friese (sceneggiatrice) – fossero nel pieno della produzione. Più pensati sono invece i richiami a Twin Peaks (ambientazione), Shining (suono), It (ricorsività nella trama).
Prima serie prodotta da Netflix in Germania, Dark è ambientata a Winden una tetra cittadina della Renania, realmente esistente, in cui scompaiono dei ragazzini. Nella memoria degli adulti coinvolti lo svolgersi degli eventi appare come qualcosa di già visto. Ogni 33 anni infatti quella città, dove di solito non accade nulla, subisce strani sconvolgimenti che cambiano per sempre le sorti di alcuni dei suoi abitanti. La serie si svolge parallelamente in tre epoche – 2019, 1986, 1953 – ed è incentrata sui viaggi nel tempo e sulla relatività di questo. Nel bosco di Winden si trovano delle grotte che scendono in profondità e costituiscono un reticolo sotterraneo che collega vari punti della città, tra cui i magazzini della centrale nucleare. È proprio lì che una fuoriuscita di energia ha permesso l’apertura più o meno fortuita di una porta temporale. Non diciamo di più sia per non rovinare la sorpresa, sia perché per fare un riassunto esaustivo s’impiegherebbe più tempo che a vedere tutte e dieci le puntate della prima stagione di Dark.
Cosa ci convince La fotografia di Nikolaus Summerer è superba ed evocativa, la storia narrata è conturbante, il ritmo è teso dalla prima all’ultima puntata, gli effetti sonori parte integrante della narrazione.
Cosa ci convince meno Alcuni topoi del genere thriller-horror sono ripetitivi e usurati (nel bosco di Winden succedono le peggio cose ma tutti i personaggi, in ogni epoca, passano sempre da lì come se non avessero alternativa; piove costantemente ma nessuno usa gli ombrelli). L’intreccio è a tratti faticoso da seguire, nessun personaggio esce fuori più degli altri per mancanza di caratterizzazione e questo rende spesso difficile distinguerli tra loro (sia nel presente che nel passato). Abissale è la differenza tra la reazione, per fare un esempio, di Winona Rider in Stranger Things quando sa di aver perso il figlio e quella della madre di Mikkel, il ragazzino scomparso di Dark.
Ci sono inoltre alcuni aspetti delle vicende e di alcuni personaggi non completamente sviscerati, per cui sembra lecito aspettarsi una seconda stagione (nel momento in cui scriviamo non c’è stato ancora alcun annuncio ufficiale). Su tutti, non è chiaro quale sia l’intento del cattivo che fa succedere tutto quello che succede. Infine le atmosfere che a volte richiamano più l’ispettore Derrick che le serie americane a cui siamo abituati non ci consentono di empatizzare troppo coi protagonisti. La serie tedesca ha però il merito di porsi su un piano lessicale internazionale, valicando i confini nazionali, al contrario dell’Italia che non riesce a divincolarsi da “pizza, mandolino e criminalità organizzata”.
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