CARLO BEVILACQUA E LE COMUNITÀ DI ‘UTOPIA’
Carlo Bevilacqua, nel suo Utopia, edito da Crowdbooks, ha creato un racconto visivo delle utopie contemporanee fotografando i luoghi e le persone che le abitano. Diviso per comunità, alcune a noi vicine, altre decisamente più remote, il libro lascia il desiderio di andare a visitarne una e di scoprire quelle che Carlo, forse, ha tenuto per sé
di Nicolò Piuzzi
Cosa ti ha portato e quanto tempo hai impiegato per girare il mondo alla ricerca di queste comunità sparse nei cinque continenti?
Il lavoro parte dal tentativo di definire il significato dell’utopia oggi, o quanto meno cosa è per me. Non è un luogo da raggiungere, ma una direzione. Aveva scritto bene una giornalista: «Quando pensi di averla raggiunta lei si sposta tre passi più in là». Ho raccontato il significato che oggi per me ha l’utopia attraverso l’esperienza di chi ha creato strutture sociali partecipative, di chi ha organizzato la propria vita seguendo un credo spirituale e di chi ha dato un contributo alla salvaguardia dell’ambiente e al rispetto della natura e degli animali. Ma ho raccontato anche di esperienze fallimentari o discutibili. La distopia è la grande nemica dell’utopia, è il rovescio della medaglia. Il primo seme di questo lavoro è stato piantato quando ho visitato, la comunità di Slab City, nel deserto della California. Da quel momento ho iniziato le mie ricerche e, a seguito di incontri, libri, appunti, ho costruito una sorta di mappa delle comunità intenzionali che ho fotografato in circa cinque anni.
Il titolo del libro è Utopia. Dreaming the Impossible: hai visto sogni diventati realtà?
Tutti i posti che ho visitato e raccontato sono sogni diventati realtà. Dalle piccole utopie come Freedom Cove, dove Catherine e Wayne hanno costruito la loro casa galleggiante in una baia di Vancouver Island, alla costruzione di una città stato come Singapore; o ancora, dalla rivoluzione “socialista” del villaggio andaluso di Marinaleda alla comune yogica di Yogaville in Virginia, solo per citare qualche esempio.
Il tuo lavoro può avere diversi livelli di lettura. C’è l’ecologia, ma anche forti risvolti sociologici e antropologici: quale senti più vicino al tuo modo di essere?
Sicuramente la chiave socio-antropologica è una delle componenti principali. Poi ci sono temi come l’ecologia, le democrazie partecipative, il rispetto per l’ambiente e per l’essere umano che fanno parte del mio DNA da sempre. Ma c’è anche l’esperienza relazionale della fotografia: qualsiasi fotografia che facciamo ci pone in relazione con il soggetto fotografato.
Se si parla di utopie è facile immaginare luoghi remoti e persone pseudo-anarchiche. Dalle tue fotografie si capisce che così non è…
Non sono poi così remoti, anzi. Ho fatto viaggi dall’India al Canada perché mi interessava documentare e raccontare l’esperienza globale, ma volendo anche alle porte delle nostre città ci sono comunità di questo tipo. Tutte quelle che ho visitato non hanno nulla di “anarchico” nel senso di assenza di ordine, confusione, al contrario. Auroville, The Farm, Twin Oaks, Damanhur sono alcuni esempi di come l’organizzazione sociale ed economica può assecondare i talenti delle persone conciliandoli con le esigenze della comunità.
CARLO BEVILACQUA Fotografo e filmmaker, è nato a Palermo nel 1961. Ha ricevuto diversi premi in Italia e a livello internazionale. Ha iniziato a scattare nella sua Sicilia negli anni Ottanta, utilizzando la fotografia per approfondire aspetti sociologici e antropologici. Attualmente vive a Milano, dove lavora con riviste, agenzie di comunicazione e pubblicità
Intervista pubblicata su WU 88 (maggio 2018). Tutte le foto sono di Carlo Bevilacqua. Segui Nicolò su Facebook e Instagram