COEZ – «LA MUSICA DEVE ESSERE COSA TUA»
A Sherwood Festival abbiamo raggiunto Coez per la prima data del suo nuovo tour estivo che, a distanza di un anno dall’uscita del suo profetico disco Faccio Un Casino, sembra non essersi mai fermato
di Giorgia Salerno
Le radici di Silvano Albanese in arte Coez, classe 1983, affondano nel rap, ma la vena cantautoriale gli calza a pennello: con Faccio un casino ha dato vita ad un ibrido tra pop, rap e indie impossibile da etichettare, ma che alla fine pare aver trovato casa in una playlist creata ad hoc da Spotify: graffiti pop. Che, senza farlo apposta, abbia creato un nuovo genere? Coez, indipendente, romantico e un po’ spartano, ci accoglie con il sorriso nel backstage del palco che lo ha visto ripartire, a distanza di un anno, con il tour di un disco che ha lasciato un’impronta nel mondo indie-pendente italiano, ma non solo. Ecco cosa ci ha raccontato di questa sua inarrestabile evoluzione.
Com’è iniziare il tour estivo di nuovo, a distanza di un anno? È quasi come se non avessi mai smesso di cantare questo disco…
Quando abbiamo iniziato il tour scorso il disco stava già andando bene, però per assurdo è davvero esploso solo dopo le date estive. Il pezzo trainante è stato La musica non c’è, ma a dire la verità non lo definirei così perché il disco stava andando bene. Diciamo però che quel brano ha fatto il lavoro di un altro disco intero.
Poi anche in inverno è continuata ad andarti benissimo, no?
Il tour invernale è stato tutto sold out: i posti erano tanti però non grandissimi, quindi sono contento di fare un altro tour estivo, perché tutta la gente che veramente voleva ascoltare Faccio un casino dal vivo e che è rimasta a bocca asciutta potrà finalmente venire ai miei concerti. Sì, sono molto contento.
Quali cose sono cambiate in un anno?
Dal tour estivo dell’anno scorso, dal Mi Ami 2017 insomma, che fu anche la prima data, abbiamo aggiunto due elementi sul palco: immagina quante prove abbiamo fatto col nuovo bassista e poi col tastierista. Prima c’era un sacco di roba in base, ma per assurdo adesso col fatto che ci sono le tastiere e il basso il dj suona ancora di più perché ha solo dei campioni, quindi cerca di lavorarli il più possibile. Li manda, li scratcha… Insomma, fa un gran lavoro. È figo, poi chiaramente ci sono anche tutte le persone che hanno lavorato agli scorsi tour, è la stessa squadra da sempre e quindi i pezzi li conoscono tutti.
A proposito del tuo team: siete una squadra super unita, vedo sempre tantissime foto e siete sempre voi, sempre insieme. Quanto conta questo in un lavoro come il tuo?
Sicuramente tanto, è giusto che si parta con una squadra e si continui sempre così. Non so come dire, la bravura la trovi un po’ ovunque oggi in Italia, ci sono tanti musicisti di livello che stanno a spasso, ma nel nostro caso le persone si sono unite al “progetto Coez” hanno creato qualcosa di speciale perché lo hanno visto crescere, ci hanno messo del loro magari e hanno stretto i denti in un momento in cui non ci credeva nessuno. Sicuramente si è creato un bel feeling che poi comunque penso sul palco si senta. Poi, per carità, non è che ci vivo insieme eh! Però! (ride, NdR).
Vivi a Milano?
No, ho lasciato anche Milano, le lascio tutte prima o poi (ride, NdR). Adesso sono tornato a Roma. Sto facendo un periodo di prova, un test, anche se comincia ad essere un po’ impegnativo girare per Roma. Ci sono tornato anche per lavoro: sto lavorando sempre con gente che è quasi tutta di Roma, anche poi per cose legate ad Undamento (label e management di Coez, NdR). Continuiamo a essere indipendenti insomma. Prima stavo su a Milano anche perché lavoravo con la Carosello.
A proposito di Carosello, come è stato questo passaggio alla totale indipendenza?
Da paura (ride, NdR). Con Carosello la situazione si è chiusa bene, era scaduto il contratto con loro e quello di lavorare da solo era un mio sogno da sempre. Il team con cui abbiamo fatto questo disco qua è anche lo stesso che mi seguiva con Carosello, che ai tempi era la mia etichetta discografica. Undamento ha sempre curato management e direzione artistica, cioè Marco Leonetti, Tommaso Biagetti e Tommaso Fobetti. Lavorare così è stato molto più facile, quandi ci sono meno teste implicate è tutto più veloce.
E in questo periodo cosa combini? Stai scrivendo?
Mi sono riposato un po’. Scrivo spesso sia appunti, sia idee, sia parti vocali… Sicuramente qualcosa entrerà in un disco, qualcosa no.
Quali sono le cose – o le persone – che ispirano di più Coez?
In realtà è quasi sempre la musica, parto quasi sempre da quello. Poi ci sono i giorni in cui proprio mi vengono delle frasi mentre penso e me le scrivo, e quando arrivo in studio e parte la musica me le vado sempre a cercare. «Speriamo che quel che ho scritto sia davvero figo» mi dico, e da lì parte un ritornello o una canzone. Vado molto per frasi.
Com’è vedere una semplice nota vocale trasformarsi in una hit?
Eh, è figo (ride, NdR). Non mi sono mai applicato in modo particolare, ho questo approccio naturale alla scrittura: parto da un concetto che poi viene modificato in base a ritmo e accordi. Alle volte ho in testa una frase da uno o due mesi, poi si trova la melodia giusta ed esce fuori da sola in qualche modo. Quando poi la vedi scritta sui muri, fa un effetto interessante.
In quest’anno sei stato invitato a programmi come Che tempo che fa e a serate come i Wind Music Awards. Mettendo a confronto queste esperienze con il live che porti in tour, come è cambiato il tuo rapporto con il pubblico?
Mettiamola così: ci sono cose che alla fine uno deve fare e cose che invece uno vuole fare. Io non stravedo per la tv in generale, non ho la tv a casa da, boh, sette o otto anni. Insomma non la guardo, quindi è anche strano andare in televisione, non è il mio contesto. È un po’ come quando dico che le radio non mi passano più di tanto, per quanto alcuni miei pezzi siano straconosciuti ormai. Ce ne sono alcuni che mettono a tutte le serate, in tutti i locali, la gente mi manda tantissimi video ogni giorno. Allo stesso tempo non ascolto la radio più di tanto, quindi probabilmente quando scrivo non faccio roba radiofonica, o comunque non troppo. Deve essere una cosa tua, la musica. Se io non guardo la tv – e veramente non la guardo – è giusto poi che non la faccia. A me piace fare i concerti e, per fortuna, col nuovo modo di diffusione della musica, non dico che radio e televisione perdano di valore, però inizia a esserci un altro modo per arrivare a ottimi risultati più affini a chi sei e alla musica che fai, chiaramente.
Un post condiviso da @coezofficial in data:
Cos’è cambiato in questi anni nella vita di Coez?
È migliorato tutto quanto, anche se forse prima ci divertivamo di più, era tutto più spartano, in generale. Ora è tutto più professionale, ci sono tempistiche da rispettare, si mangia ad una determinata ora, giriamo in tanti, eccetera. Devo dire però che, in fondo, un po’ spartani lo siamo rimasti. Poi un conto è un tour come questo, 11 date in due mesi, un conto è il tour dell’anno scorso durante il quale ne ho fatte 35 nello stesso periodo di tempo. Quello è stato più problematico, mi ha un po’ distrutto.
Coez, ci consigli una canzone da mandare in radio? Anzi, consigliacene due.
Beh di mio ti direi Delusa da me… e poi mi piace un botto il pezzo nuovo di Kanye West con Kid Cudi: Ghost Town.
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La foto in apertura di Coez è di Giorgia Salerno.
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