U – JULY 22 AL MILANO FILM FESTIVAL 2018
Il film di Erik Poppe sulla strage avvenuta sull’isola di Utoya il 22 luglio 2011, dopo essere stato presentato all’ultimo festival del cinema di Berlino, è stato l’evento più importante della giornata del 30 settembre del Milano Film Festival
di Davide Colli
Per chi ha avuto l’occasione di poter partecipare all’ultima edizione del Festival del Cinema di Venezia, verrà spontaneo rapportare U – July 22 con il 22 July di Paul Greengrass, prodotto da Netflix con il medesimo obiettivo del film di Poppe: trasporre sul grande schermo la tragica storia dei due attentati che hanno colpito Oslo e l’isola Utoya. Le similarità tra queste due opere, però, si limitano esattamente alla scelta del soggetto di partenza. Se Greengrass sceglie la strada del pietismo dalla lacrima facile, portando a termine un melodramma in grado di suscitare la lacrima facile, Erik Poppe (norvegese e quindi più vicino sentimentalmente all’orribile evento) sceglie tutt’altra direzione.
Il focus di U – July 22 diventa la carneficina avvenuta sull’isola Utoya, macrocosmo che il regista espande e restringe all’occhio del suo pubblico, allo scopo di rendere la sua percezione più labirintica e dispersiva, ma al tempo stesso fortemente claustrofobica. Implementa quest’ultima sensazione la decisione di riprendere la scena esclusivamente con l’ausilio di camera a mano (dando vita ad un unico lungo piano sequenza): questa, come gli sfortunati protagonisti, si nasconde tra i rovi, si sporca con l’umida terra e si imbratta del sangue delle vittime, facilitando l’immersione dello spettatore all’interno di questa infernale situazione.
Il vero punto di forza di U – July 22, però, risiede nella sua capacità di mescolare dinamiche del cinema dell’orrore moderno con la cruda realtà. L’esempio più chiaro che dimostra la veridicità di questa intenzione è indubbiamente la scelta stessa di non tenere mai ferma la macchina da presa, quasi ci trovassimo in una pellicola girata in found footage e montata dalla solita “mano invisibile”, cliché abituale nel panorama horror attuale, ma estremamente potente se applicato ad una storia vera. Anche nella parsimonia con la quale viene mostrato il responsabile delle più di 70 uccisioni (un estremista di destra) incarna una volontà di riallacciarsi ad un immaginario horror che identifica la figura del serial killer come di un demone ubiquo, in grado di destreggiarsi facilmente in quel girone infernale, un tempo luogo di idillio, rappresentato dall’isola norvegese.
U – July 22, seppur non perfetto nella scrittura dei dialoghi, riesce comunque a stimolare l’attenzione – al contrario del fin troppo didascalico film di Paul Greengrass – per merito di un’idea visiva vincente che è il vero fulcro dell’intero film.
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