GIORGIO POI – IL POETA AGRODOLCE DELL’IT-POP
Una voce acuta amata o odiata, sicuramente riconoscibile. Anni passati all’estero per poi sentire la nostalgia di casa e decidere di tornare. Il risultato è Smog, il secondo album del cantautore indie di Novara, accompagnato da un tour ad aprile
di Camilla Graham
«Chissà che cosa pensi, adesso che sei lontana, se ti fa ancora schifo la musica italiana» canta Giorgio Poi in La musica italiana, appunto, il singolo insieme a Calcutta che anticipava il “primo secondo disco” del cantautore di Novara (ma con chiara pronuncia romana) classe 1986, Smog, uscito a marzo per Bomba Dischi. Il secondo album, quello più difficile dove devi confermare le aspettative, soprattutto se il primo era stato accolto così bene come Fa niente (uscito nel 2017) e ti aveva fatto entrare, senza volerlo, nell’empireo dei cantautori del cosiddetto it-pop. La voce di Giorgio Poi è decisamente particolare e riconoscibile, un po’ metallica, un filo stridula, da alcuni è amatissima e da altri quasi odiata. E con giochi di parole teneri, buffi, poetici, molto puntuali nel raccontare un’emozione. Da fine marzo Giorgio Poi lo presenterà anche in tour in Italia e sarà ospite al Mi Ami festival di Milano.
Nel tuo primo singolo parli un po’ di stesso, vero?
Lascio parlare una sorta di alter ego femminile che si trova all’estero e inizia ad avere nostalgia del Parmigiano e della pasta e soprattutto della musica di casa nostra che aveva sempre snobbato. Sì, anche a me è capitato così, quando ero a Londra ho riscoperto per esempio Vasco, che non avevo mai considerato troppo.
Facciamo un passo indietro: prima di diventare un nome di punta della nuova scena indie italiana, collaborando anche con tutti gli artisti più rappresentativi, da Frah Quintale per la hit Missili a Carl Brave in Camel Blue fino a Stanza Singola, il pezzo di Franco 126 con Tommaso Paradiso dove hai suonato le chitarre e il basso, sei stato parecchio all’estero…
Premetto di non amare molto le categorizzazioni e di non sentirmi al centro di nessuna scena però sì, a vent’anni mi sono trasferito a Londra dove mi sono diplomato in chitarra jazz alla “Guildhall School Of Music And Drama”. Poi ho dato vita al gruppo Vadoinmessico (cantando in inglese, NdR) e sono rimasto in Gran Bretagna per sette anni per poi trasferirmi a Berlino per altri quattro. A un certo punto mi è tornata voglia di cantare in italiano e così ho iniziato a farlo, circa due anni fa. Da lì alla decisione di tornare, il passo è stato breve e così sono venuto a vivere a Bologna.
Ma la musica italiana non ha mai “fatto schifo” a Giorgio Poi, vero?
No, ma va, quello assolutamente mai!
Con queste premesse però spiazzi tutti con il primo brano dell’album che si intitola Non mi piace viaggiare: sul serio?
Non mi dispiace trasferirmi, ma non mi piace viaggiare perché lo faccio troppo per lavoro quindi è diventata la mia routine. Mi pesano tutti gli spostamenti e poi la mia è un po’ una crociata contro il turismo inteso genericamente. Preferisco comunque muovermi con uno scopo, ecco.
Se viaggi per lavoro ti capiterà anche di scoprire cose inaspettate nei momenti di pausa?
Sì e in quel caso mi piace tantissimo. Se no, me ne sto anche volentieri sul divano di casa mia.
Quando sei andato in tour con i Phoenix in America quest’estate, per esempio?
Esatto, quella è stata proprio un’esperienza di viaggio che mi ha arricchito anche perché i Phoenix sono veramente squisiti, mi hanno accolto in una maniera unica.
Il pubblico come ha reagito?
Erano un po’ sorpresi all’inizio perché non capivano bene cosa stesse succedendo, non si aspettavano Giorgio Poi insomma. Poi era uno show con parecchi momenti solo strumentali quindi hanno iniziato ad apprezzare. Anche se continuavano a non capire che cosa stessi cantando.
Tutto il suono di Smog è molto ricco di sintetizzatori: i Phoenix, così come i Daft Punk e in generale un french touch anni Novanta, hanno influenzato i tuoi suoni?
È vero, ci sono molti più synth rispetto al primo album. La musica elettronica francese mi è sempre piaciuta, forse in parte mi ha influenzato, ma volevo veramente creare un tappeto sonoro che fosse il più possibile neutro e non si collocasse in nessun orizzonte temporale.
Smog è una critica nei confronti di qualcosa che ti intossica?
No, semplicemente è il titolo del disegno che ho realizzato per la cover. Non penso di aver chissà che doti di illustratore, però avevo voglia di occuparmi in prima persona anche dei disegni del libretto dell’album. La title-track è strumentale, non ha un testo: mi piace che sia così, se no magari viene un po’ manipolato tutto l’album.
In questo disco hai suonato tutti gli strumenti, hai disegnato tu stesso il booklet: hai lasciato un po’ di spazio per il contributo di qualcun altro?
È vero, ho fatto tutto in casa, a Bologna, in quattro-cinque mesi. Però il mixaggio è stato fatto sempre a Bologna da Andrea Suriani, che si è occupato anche degli album di Cosmo, Coez e Calcutta.
Si capisce che lavori molto sui testi: hai letto dei libri che ti hanno influenzato in maniera particolare nel periodo di composizione?
A volte rimango a lavorarci per tanto tempo e non ottengo niente, magari butto via intere giornate! Altre riesco a scrivere in dieci minuti, dipende, ma penso che capiti a tutti così. Ho letto un po’ di libri di Tommaso Landolfi, Rien va in particolare. Mi piace il fatto che ognuno possa dare l’interpretazione che preferisce e il significato del testo si chiarisce solo alla fine.
Che cosa rispondi a chi sostiene che voi dell’it-pop siete tutti uguali?
Capisco che si possano avvertire delle somiglianze tra noi artisti ma credo si limitino al fatto che sono canzoni scritte nel 2019, in italiano appunto. Spero che, approfondendo giusto un po’, si avvertano le differenze tra tutti noi.
Da fine marzo sei di nuovo in tour, ci sarà qualche novità rispetto ai precedenti concerti?
Saremo in quattro e non più in tre perché ovviamente ci sarà la persona che si occuperà dei synth.
Immagina di essere sul palco pochi minuti prima di iniziare a cantare e suonare: che cosa ti fa più paura?
Mah, le cose che possono andare male sono veramente tantissime: un problema tecnico, il suono che non si sente, un lapsus sul testo delle canzoni… È meglio se non ci penso!
Intervista pubblicata su WU 95 (aprile – maggio 2019). La foto in apertura di Giorgio Poi è di Federico Torra