ASIF KAPADIA – IL PREZZO DELLA FAMA
Presentato fuori concorso al Festival di Cannes e al Biografilm Festival di Bologna, arriva nelle sale italiane, per tre soli giorni (23, 24 e 25 settembre) Diego Maradona, l’ultima fatica di Asif Kapadia
di Paola Medori
Dopo Senna (2010) e Amy (2015), nel suo nuovo docu-film, Diego Maradona, il regista Premio Oscar Asif Kapadia punta ora i riflettori su ascesa e declino de El Pibe de Oro, l’eroe argentino che ha restituito l’orgoglio a Napoli, la città più maltrattata d’Italia. Britannico di origine indiana, classe 1972, Asif Kapadia chiude così la trilogia sul “prezzo della fama” raccontando la vita della maglia numero 10 più grande di sempre, il genio e la sregolatezza di un fuoriclasse che ha fatto la storia del calcio e non solo durante tutta la sua vita. Tanto divino con la palla fra i piedi, quanto controverso fuori dal campo.
Alle spalle hai due docu-film dedicati alle vite di Ayrton Senna e di Amy Winehouse, figure “totali” nei rispettivi campi. Ora Maradona: in qualche modo esiste un legame tra loro?
Sicuramente c’è un filo conduttore che lega i tre personaggi: anime irrequiete, ma audaci. Come Senna, Diego Maradona è l’eroe latinoamericano che ha reso orgoglioso il suo sofferente Paese, mentre con Amy condivide i problemi di dipendenza. Diego ha qualcosa di entrambi. Lo stile poi non è molto diverso dagli altri film, visto che anche in questo non c’è la presenza fisica, ma solo la voce.
Perché un film su Maradona?
Tempo fa ho letto un libro sulla sua vita e fin dalle prime pagine ho pensato: «Voglio raccontare la sua incredibile storia, fatta di ombre e luci». Diego Maradona è un eroe del pallone che ha sconfitto giganti del calcio come Juventus, Milan e Inter.
Sei cresciuto non molto lontano da Highbury Park, il vecchio stadio di una grande squadra come l’Arsenal: sei sempre stato un grande appassionato di calcio?
Certo. Sono un grande tifoso e da bambino giocavo sul campo dello Stoke Newington Common di Londra. La mia squadra però è il Liverpool e non potrei mai tradire questa fede.
Hai avuto a disposizione oltre 500 ore di filmati di repertorio (quelle girate da due operatori assunti da Jorge Cysterzpiler, ex agente del Dies, per un film mai realizzato sul calciatore). Credi che sarebbe stato possibile realizzare il tuo progetto senza il diretto coinvolgimento di Maradona?
Non credo. Era fondamentale parlare con lui, visto che Diego è ancora vivo, anche se a volte la persona su cui stai girando un film non è il testimone più affidabile della sua storia. E poi mi ha dato il permesso di accedere a questo vasto repertorio di filmati d’archivio, di inediti con le parole dei compagni, allenatori e fidanzate.
Com’è andato il primo incontro tra Asif Kapadia e Diego Armando Maradona?
È stato molto complicato riuscire a incontrarlo a Dubai – dove viveva in quel momento – poi tutto è diventato più semplice. Lui ha cominciato a fidarsi di me e a dimenticare il contesto della registrazione. È una persona carismatica. Ha quella sorta di magnetismo, di presenza che quando c’è si fa sentire.
È stato sempre disponibile?
Ascoltarlo raccontare aneddoti è un’esperienza intensa e coinvolgente. Su alcune domande non ha voluto rispondere, per esempio quelle sulla sua ex moglie e sull’ex manager: «È un ladro, mi ha rubato tutti i soldi», mi ha detto riferendosi a quest’ultimo. Con il tempo siamo riusciti a parlare di tutto: donne, abusi di droga, i figli avuti fuori dal matrimonio, fino alle connessioni mafiose e al prezzo che ha pagato per i suoi errori.
Il documentario si concentra tra il 1984 e il 1991, gli anni magici giocati in serie A nel Napoli, con il quale Diego ha vinto due campionati italiani e una coppa UEFA prima di lasciare Napoli in disgrazia nel 1992.
Il successo e le vittorie della squadra lo hanno trasformato in una divinità nella Napoli degli anni Ottanta. Osannato come San Gennaro, la sua effigie è ovunque. Sui muri, sulle magliette, nelle case e nei portafogli dei napoletani. Il Presidente della squadra, Corrado Ferlaino, si rifiutava di cederlo e lasciarlo andare. Maradona voleva sfuggire a una città diventata ormai una gabbia dorata e asfittica, piena di amicizie pericolose.
Diego, il ragazzo umile dei bassifondi di Buenos Aires; e Maradona, il top player che perde se stesso. Chi prevale sull’altro?
Come racconta nel docu-film il suo preparatore atletico, Fernando Signorini: «Diego non ha nulla a che fare con Maradona, ma Maradona se lo porta ovunque». Io ho raccontato l’apice della sua carriera nel Napoli, l’ascesa di un calciatore che dalla poverissima periferia argentina arriva a conquistare il mondo.
Quando inizia il suo declino definitivo?
Dopo la vittoria dell’Argentina ai Campionati del Mondo nel 1986. Nello stesso anno nasce il suo primogenito che non vorrà riconoscere. Un evento che coincide anche con l’inizio della sua fine. Arrivano i primi segni di insofferenza di un uomo ormai lacerato, con il desiderio di andarsene da una città che ormai è un inferno.
Eppure è riuscito sempre a trovare la forza di andare avanti.
È stata una sfida riportare sullo schermo l’immagine di un uomo che ha pagato un costo troppo alto per sopravvivere in un clima che avrebbe soffocato chiunque. Il suo alter ego, “Maradona”, ha lasciato una grande eredità calcistica, mentre l’uomo “Diego” è una figura vulnerabile, che rimane ancora oggi imperscrutabile ed enigmatica. Alla fine Maradona ha avuto la meglio su Diego.
Ancora oggi Maradona è inseguito dalla sua stessa leggenda?
È sempre sotto i riflettori. Diego è l’essenza stessa di un calcio magico e irripetibile. È un uomo sveglio e anche furbo. Non importa quante volte ha fallito o è caduto. È riuscito sempre a rialzarsi. Ed è difficile immaginare che una persona con la sua storia non senta il peso di tutto quello che ha passato.
Intervista pubblicata su WU 97 (settembre 2019). Il docu-film di Asif Kapadia sarà al cinema il 23, 24 e 25 settembre 2019. Qui l’elenco di tutte le sale dove sarà proiettato
Il ritratto in alto di Asif Kapadia è di Leslie Hassler