BENEDETTO CRISTOFANI – COVER STORIES
Lo stile di Benedetto Cristofani ha conquistato gli art director di tanti illustri magazine internazionali, che sempre più spesso lo scelgono per il “biglietto da visita” più importante di ogni numero che arriva in edicola: la copertina
di Emilio Mariotti
Si è conquistato la prima pagina di alcune tra le più importanti riviste del panorama editoriale mondiale eppure non è né un divo di Hollywood, né un politico di lungo corso e nemmeno un talento del calcio. Benedetto Cristofani, questo il suo nome, è un illustratore: i suoi lavori sono apparsi su testate come “The Economist”, “The New York Times”, “The Wall Street Journal”, “Wired” e molte altre. Non solo: le illustrazioni di questo artista senese, classe 1983, continuano a vincere premi su premi a livello internazionale. Iniziamo la nostra intervista chiedendogli proprio di una delle ultime realizzate, che ha anche pubblicato su uno dei suoi canali social e ritrae uno degli uomini più conosciuti del pianeta.
Sulla timeline di Facebook mi appare una copertina del “The Economist” con Trump che entra nell’aereo presidenziale. È tua?
Sì, è l’ultima copertina che ho realizzato.
Come nasce un’illustrazione del genere?
Queste copertine del “The Economist” nascono sempre con un brief molto preciso, che va rispettato alla lettera. I creativi della redazione gestiscono un budget che indirizzano su un disegnatore da loro scelto, il quale si deve attenere alle loro idee. La copertina deve seguire il tono della linea editoriale della rivista. Nel caso del “The Economist”, è sempre molto marcata, senza fronzoli. Riviste del genere, così autorevoli, ingaggiano l’artista per esprimere le loro parole. Al contrario di come funziona con la maggior parte dei clienti, non puoi fare proposte. Con la tua tecnica devi risolvere un problema visivo in poco tempo. Possono chiamarti all’improvviso, magari dopo che hanno deciso di virare da una scelta fotografica a un’illustrazione. Devi essere rapido a capire cosa chiedono e altrettanto rapido ad accettare.
Ti è mai successo di essersi trovato in contrasto con il contenuto scelto dal committente?
No, ho avuto la fortuna di non aver avuto questioni morali interne. Collaboro con testate serie, è difficile che il “The Economist” dica una cavolata. Quello che può accadere è, postando sui social i lavori inerenti a tematiche politiche, sociali o sulla guerra, di avere commenti sul contenuto delle illustrazioni. In questi casi tendo a non rispondere. Mi è capitato di farlo una volta su Instagram con una ragazza siriana che, sotto a una copertina con Assad su un cumulo di macerie, ha scritto che la realtà del suo Paese è strumentalizzata dai media occidentali per ulteriori logiche di potere. Le ho risposto descrivendole il tipo di lavoro fatto sull’illustrazione. In questi casi io esprimo visualmente le idee della redazione, che verranno approfondite poi all’interno della rivista. Mai con un’opera personale mi permetterei di arrivare a una conclusione su un argomento così complesso come può essere la guerra. Non ho lo slancio, la superbia, per esprimere un’idea politica netta su certi temi.
A Benedetto Cristofani piacciono più i dubbi o le certezze?
Sicuramente il dubbio è qualcosa di più aperto e universale. Credo che ci voglia una certa discrezione per commentare queste tematiche. Puoi affrontarne alcuni aspetti, dissacrandoli anche, trasfigurandoli secondo il tuo linguaggio. Devi prendere comunque un solo pezzo del puzzle.
Quando elabori un concept per un tuo progetto personale, quanto dipende dalla testa e quanto dal cuore?
Quando penso a un’idea personale vado molto d’istinto. Se l’ispirazione è buona, cerco di realizzarla il prima possibile. Faccio un esempio: alla radio stavano parlando di un’imminente manifestazione dei Fridays for Future e, quando ho sentito discutere sul concetto di capitalismo climatico, mi è venuta in mente l’idea di una colata di alberi che copre un codice a barre. Già allo stato immateriale era qualcosa di potente, quindi l’ho messa giù immediatamente. Si valutano i pochi elementi che si ha a disposizione, poi si realizza. È, in fondo, una grammatica molto semplice.
Alcuni tuoi lavori trattano il tema dei rapporti umani mediati dai social network. Cosa ti stimola di questo argomento?
È difficile sottrarsi a una tematica del genere, ma non ne sono ossessionato. Il mondo social fa par- te della nostra realtà. Personalmente, da un po’ di tempo, li uso per promuovere il mio lavoro, cercando di soprassedere sulla condivisione di fatti o momenti che appartengono alla vita personale.
Quando disegni cerchi di creare qualcosa che abbia un successo immediato o che possa durare nel tempo?
Tutto quello che dura ha un valore aggiunto. La contemporaneità si trova anche in libri scritti secoli fa. Il fatto di dover creare molti contenuti per stare dietro a quello che succede giorno per giorno ti può portare a creare immagini che un domani non saranno più attuali. Per questo cerco sempre di non affrontare argomenti troppo effimeri, anche se ammetto che a volte è irrinunciabile.
Quanto ti autocensuri nella scelta o nella creazione delle immagini? C’è qualcosa che ti è capitato di dover mettere da parte?
Non metto da parte quasi nessuna illustrazione. Quando è passata dall’immaginazione alla realizzazione, vuol dire che merita di esistere. Quello che cerco di comunicare con i miei lavori è quello che voglio far passare. Se so che una cosa poi non la potrò pubblicare, allora non la realizzo nemmeno.
Su due piedi, se dovessi disegnare l’Italia di questi giorni, che cosa realizzeresti?
Mi viene in mente una televisione spenta, tanto ciò che ne esce fuori è inutile. Oppure una cosa che ho disegnato anni fa per descrivere la lentezza burocratica nostrana: l’Italia fatta come una chiocciola che si porta un guscio sproporzionato sopra di sé e che lascia dietro una scia di bave fatte di cose sbagliate.
Intervista pubblicata su WU 99 (dicembre 2019 – gennaio 2020) . In alto: Benedetto Cristofani in un recente ritratto