THE SHOW MUST GO ON?
Nel mondo sottosopra della nuova epidemia e dei suoi postumi, il teatro, la più longeva (e fragile) delle arti elabora strategie di sopravvivenza. Tra paura, fiducia e un pizzico di sana incoscienza, ecco cosa sta succedendo. E cosa succederà
di Matteo Torterolo
«In tempo di crisi, il teatro serve ancora di più a tutti noi. […] Se e come i teatri debbano riaprire le porte in una situazione senza precedenti, come quella che stiamo vivendo, che ha visto così tanti morti e dolore, è una questione che non può avere una risposta definitiva, ma […] dobbiamo avere fede nel teatro e sperare che l’arte possa sempre avere un suo posto nel mondo». Incredibilmente attuali, queste parole sono state scritte dal critico giapponese Kôjin Nishidô all’indomani del disastro nucleare di Fukushima. Non è un caso che a riprenderle sia oggi uno dei più importanti festival teatrali del mondo, il Kunstenfestival di Bruxelles, per annunciare l’annullamento della sua 25esima edizione.
In effetti, la fede che possa esistere un futuro, per l’arte in generale e per il teatro in particolare, è tutto quello che ci rimane oggi: perché tra le non poche vittime collaterali di questo maledetto virus c’è, inutile dirlo, anche lo spettacolo dal vivo. Del resto, questa impossibilità sembrerebbe insita nella stessa definizione, e la questione resterà aperta a lungo, se come ci ricordano ogni giorno autorità ed esperti il teatro sarà tra gli ultimi settori a poter “riaprire” in sicurezza.
Così, ci troviamo davanti a un oggi fatto di rinvii, di sospensioni, ma anche di tentativi – più o meno riusciti – di trovare modalità alternative di (r)esistenza. Qualcuno a dire il vero ha scelto di non cercarle, queste alternative, convinto che non possano semplicemente esistere: è il caso della compagnia Teatro Invito, di Lecco, che organizza tra fine agosto e inizio settembre l’interessante L’ultima luna d’estate: «In questo periodo tanti nostri colleghi stanno inventando modi per riempire il vuoto teatrale con lo streaming – dicono dalla Compagnia – rispettando qualunque scelta, noi abbiamo deciso di non farlo: troviamo siano tutti palliativi che tradiscono il senso del rito teatrale». Posizione sensata, ma apparentemente poco praticata: vuoi per la necessità (tragica) di provare a evitare il fallimento economico, vuoi per la necessità (altrettanto tragica, e vitale) di potersi esprimere, vuoi per sperimentare il medium web, strumento sorprendentemente sconosciuto alla media di chi fa teatro in Italia oggi.
Così ci si è inventati nuovi format per fare teatro, o per parlare di teatro, utilizzando tutto l’arsenale a disposizione: streaming d’archivio, dirette Facebook e Instagram, ma anche messaggi Whatsapp, Telegram, Skype… Gli esempi sono davvero tantissimi: tra i più interessanti il ciclo di estratti Teatroatradimento di Daniele Timpano, il Decameron di Triennale Milano (che ha ospitato performance, concerti e incontri), ma anche Amukina mon amour ideato da fattiditeatro per dare voce ai professionisti del settore.
Poi, perché le vecchie abitudini sono dure a morire, ci si è lamentati della scarsa considerazione generale, e manco a dirlo sono stati i più tutelati a farlo. Oltre alla celebre (e un po’ retorica) lamentatio di Stefano Massini, una delle iniziative più curiose in questo senso è l’appello rivolto alla Rai da molti grandi nomi dello spettacolo italiano affinché in questo periodo di chiusure trasmetta più teatro contemporaneo in tv: come dire, l’establishment culturale del Paese che reclama spazio su una televisione nazionale, spazio che sarebbe normale esistesse da anni e della cui assenza (nonostante l’assidua frequentazione reciproca) si rende conto solo ora. E il domani? In pochi hanno il coraggio e la forza di fare previsioni. E mentre alcuni dei principali appuntamenti estivi cominciano a riprogrammare su altri periodi (l’ultimo in ordine di tempo è il toscano Inequilibrio), un esperimento interessante è sicuramente quello di Santarcangelo, il più longevo dei nostri festival, che con la direzione di Daniela Nicolò e Enrico Casagrande decide di pensare a un Futuro Fantastico, prendendo spunto dall’omonimo racconto di Asimov per allestire una stanza dei sogni virtuale partecipata (il gruppo Facebook Dream Suq) in vista della sua 50esima edizione, intitolata profeticamente Santarcangelo 2050.
Forse, per il momento ha senso tornare al punto di partenza per ascoltare le parole di Daniel Blanga Gubbay, da poco alla direzione artistica del Kunsten, una delle menti più interessanti che abbiamo avuto la fortuna di vedere da queste parti (e che, guarda a caso, vive e lavora ormai stabilmente a Bruxelles): «La cancellazione di un festival – scrive Daniel – è l’occasione per sollevare una riflessione sul ruolo di un’istituzione culturale oggi». Ecco, se questa emergenza deve insegnarci qualcosa, è che è arrivato il tempo di tornare al senso ultimo delle cose, di provare ad immaginare un futuro diverso. Altrimenti – retorica a parte – avremo perso tutti.
Articolo pubblicato su WU 101 (aprile – maggio 2020). Segui Matteo su Facebook
Nella foto in alto: Goldschmied & Chiari a Decameron Triennale, foto di Gianluca di Ioia
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