BONETTI – L’IMPORTANZA DI UN ‘QUI’
Bonetti è uscito con ‘Qui’, il suo terzo disco per Bravo Dischi/Labellascheggia. Un disco importante, a cominciare da una cover con una foto di Luigi Ghirri
di Enrico S. Benincasa
Si intitola Qui il terzo disco di Bonetti, cantautore di origine torinese che ha pubblicato questo lavoro per Bravo Dischi/Labellascheggia lo scorso 27 ottobre. È il primo album che Maurizio registra non nei ritagli di tempo tra un concerto e l’altro e che ha scelto di dedicare a un concetto che gli sta molto a cuore. Un disco raccolto – sette canzoni – che inizia con Camionisti, pezzo concepito per accogliere l’ascoltatore e che ha dato il via a tutto il progetto. Ma è un disco che, per chi lo prenderà fisicamente in mano, “inizia” con la piacevole sorpresa di una copertina, caratterizzata da una foto inedita di Luigi Ghirri, che fornisce un significato visivo a tutto il lavoro di Bonetti. Non un semplice omaggio, ma una scelta nata da una richiesta dell’artista e recepita da chi oggi gestisce l’archivio del fotografo italiano.
Per la cover di Qui, il tuo terzo disco, hai avuto la possibilità di utilizzare una foto di Luigi Ghirri. Su Instagram hai raccontato la storia di questa cover, vorrei però chiederti come si è arrivati a scegliere proprio quella foto per questo terzo album di Bonetti.Nel post che ho pubblicato su Instagram descrivo esattamente come è andata l’intera faccenda. Grande merito è di Domenico de Labellascheggia (una delle etichette per cui è uscito Qui, NdR) che ha avuto questa fortunata uscita e ha scritto all’archivio Ghirri. La figlia Adele ci ha risposto subito, ci ha chiesto di sentire il disco e poi ha fatto una selezione di foto, motivando tutte le sue scelte. Erano una più bella dell’altra come potete immaginare, poi insieme abbiamo scelto questa.
Ascoltando il disco, sembra certamente molto “centrata”…
Le persone che hanno collaborato a questa scelta hanno messo a fuoco il tutto e hanno ragionato su proposte sensate. Quest’immagine sfocata è molto affine all’essenza del disco. Forse mi sono fatto condizionare da tanta bellezza, ma ha reso più chiari alcuni aspetti di quello che ho scritto. È una gran bella definizione visiva di Qui.
Rimanendo in ambito fotografico, le canzoni di Qui che tipo di foto sono?
È una domanda difficile… Senza fare troppi ragionamenti direi che sono delle foto analogiche, soprattutto per il lavoro che abbiamo fatto insieme a Fabio Grande, il produttore del disco. Ci siamo soffermati sui particolari, senza cercare soluzioni comode e valorizzando sia le sfumature sia, in un certo senso, i difetti di una canzone. E soprattutto non abbiamo avuto fretta, ci siamo presi il tempo necessario per fare tutto, consapevoli che alcune canzoni potrebbero avere bisogno di più tempo per essere capite, non hanno, diciamo, quella immediatezza di una playlist del venerdì.
I tuoi dischi iniziano sempre con degli intro musicali abbastanza importanti. È una scelta voluta?
Sì, è una scelta voluta e ragionata per tutti i dischi. Per me la capacità della musica di evocare immagini è qualcosa di fondamentale e penso che ci siano molti punti in comune tra un album e un film. Per questo i primi secondi di un disco li concepisco come una sigla per aiutare l’ascoltatore a “entrare” nella storia che sto per raccontare. Nel caso di Camionisti, il pezzo che apre Qui è uno dei primi che ho scritto, l’intro è nato insieme al pezzo. Ho sempre pensato a questo album come a una sorta di viaggio, non poteva mancare in apertura una parte musicale del genere.
Il titolo, Qui, quando nasce?Per me è sempre stato un dramma scegliere il titolo di un disco, questa volta invece Qui è venuto fuori subito. Con Camionisti ho trovato la quadra, forse anche per la sua struttura particolare. Nella canzone c’è una strofa per me molto importante: «Io ‘sta cosa che quando vado in un posto nuovo / penso sempre come sarebbe passarci tutta la vita lì». È una domanda che mi faccio da sempre, da quando ero un bambino, e continuo a farlo ancora oggi. L’ho resa per la prima volta esplicita, in primis a me. Ho deciso di fare un disco attorno a questo concetto e Qui lo rappresentava bene. Molte canzoni non erano ancora state scritte, ma avevo già fatto una scelta importante.
Perché escono tanti dischi secondo te? C’è molta voglia di comunicare?
Non so dare un giudizio generale, sinceramente. Per quanto riguarda il mio disco, ha avuto un leggero ritardo ma più o meno abbiamo rispettato i tempi che ci eravamo dati. Avremmo potuto decidere di aspettare la primavera, ma non l’avrei considerata una scelta onesta nei confronti di chi mi ha sempre seguito. Il lockdown, per me, in ogni caso, non è stata una situazione stimolante. Penso di non aver scritto nemmeno una riga.
E in genere come scrive Bonetti?
Ho sempre cominciato dal testo, ma questa volta ho sviluppato di pari passo testo e musica, alle volte addirittura sono partito dallo strumento, che fosse synth o chitarra, e per me è una novità. Gran parte del lavoro è stato fatto nell’inverno tra il 2018 e 2019, in due settimane.
È stato l’album più difficile?
Non direi. Questo forse è stato più complesso degli altri, ma tutti e tre sono stati spontanei. Per me la difficoltà sta proprio nell’assenza di spontaneità: se mi devo sforzare a cercare la frase o l’accordo giusto vuol dire che c’è qualcosa che non va. È stato senz’altro il disco che mi sono goduto di più: nel primo disco è stato centrale l’amore per la musica, nel secondo ho preso le distanze dai mostri di quel periodo, in questo invece mi sono trovato nella condizione di non dover fare tutto nei ritagli di tempo, ho potuto pensare per parecchio tempo solo a quello. Diciamo che questo disco me lo sono regalato: era una cosa che inseguivo da tempo e ce l’ho fatta.
Hanno messo il bollino “explicit” a Non ci conosciamo più ma non a Camionisti. Ti sei chiesto come funziona l’algoritmo di Spotify?
“Stronzetti” l’ha riconosciuto, “culona” no, chissà perché. Quando l’ho visto, comunque, mi sono sentito per la prima volta un po’ rapper (ride, NdR). In ogni caso lo vorrei sempre il bollino explicit, perché nella musica bisogna essere espliciti, nel senso più ampio del termine.
Nella foto in alto: Bonetti, foto di Giorgia Bigatton
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