SPERANZA – NUN M’ FACC’ MASTO
Basta leggere il suo nome d’arte e il nome del suo album di debutto per capire che per il rapper campano la musica non è solo una questione di incastri e abilità tecniche, ma un vero percorso di emancipazione e riscatto sociale
di Nicolò Tabarelli
Ugo Scicolone, in arte Speranza, è un rapper cresciuto a Behren-lès-Forbach, un centro carbonifero della Lorena, nella Francia nord occidentale. Oggi vive tra Caserta e Milano. Nato nel 1986, è rapidamente diventato il pupillo di alcuni padri della scena rap italiana come Guè Pequeno e The Night Skinny. L’ultimo a morire, il suo primo album, alterna i bangerz intrisi di credibilità di strada a cui ci aveva abituato a tratti più intimisti che invece sorprendono chi non lo ha seguito con attenzione.
È il tuo primo album, sei emozionato? Com’è andata la lavorazione?
Sì, sono emozionato, ma il giusto. La lavorazione è andata bene, anche perché prima del lockdown avevo già chiuso quasi tutte le tracce. Poi per un po’ non sono potuto andare in studio e allora le ho preparate davvero bene. Sono stato in casa, ho scritto e appena hanno riaperto un po’ sono subito andato in studio a registrare.
In un’intervista con Daria Bignardi avevi dichiarato di lavorare ancora come muratore. Ora che sei arrivato all’album sei un musicista di professione o vai ancora in cantiere?
Ancora deve uscire il primo album! Vediamo come va. Se andrà bene forse smetterò di andare in cantiere, ma per ora non mi fido a lasciare un lavoro sicuro. Non basta qualche canzone per decidere di mollare. Però sì, se questo album va bene smetto, altrimenti me ne torno a casa.
Come cambia la vita tra Caserta e Behren? Fino a questo momento hai senz’altro raccontato più la prima che la seconda.
Sono posti molto diversi. A Behren sei proprio in una banlieue a Caserta ci sono situazioni brutte, però non sei segregato in un rione. Io là non vedevo futuro quindi ho pensato di emigrare al contrario e tornare in Italia. Anche a Caserta, però, ho avuto problemi: per un periodo ero esagerato con l’alcol, bevevo tantissimo e tornavo a casa ogni sera rovinato.
Tu rappi in almeno tre lingue (napoletano, francese e italiano). Come cambiano il tuo flow e i tuoi temi in base alla lingua?
Ho imparato tutto a orecchio e il mio flow è migliorato allenandomi, provando e riprovando. Tra le tre lingue cambiano più che altro gli argomenti. Alla fine, per me, l’italiano è una terza lingua e, solo ora che faccio avanti e indietro tra Caserta e Milano, ho riscoperto di saperlo parlare. Quando canto in italiano, forse proprio perché è una lingua di cui non ho il controllo completo, riesco a rappare o addirittura a cantare di argomenti più intimi. Credo che per molti Speranza sia soprattutto canzoni come Pagnale o Chiavt a Mammt, però già nella canzone con Margherita Vicario ho fatto vedere un po’ la mia vena più sentimentale. Nell’album ce n’è ancora di più. Il francese, invece, mi ricorda il mio passato e come sono cresciuto.
Prima dell’estate è uscito il settimo album da solista di Guè Pequeno. Siete molto amici, ti aspetti una carriera altrettanto lunga?
Eh, adesso vediamo. Guè è fortissimo, io ho appena iniziato. Sono contento però perché è un mio grande fan. A volte mi manda dei video in cui è lì con le tipe e mette i miei pezzi. Si gasa tantissimo.
A proposito di Guè, in un’intervista a Rolling Stone ha espresso diversi giudizi su rappresentanti della scena italiana. Di te ha detto: «Lui è sia entertainment sia real. È ignorante ma non è fake». Mentre di Massimo Pericolo, che è tuo amico e collaboratore, ha detto: «Non frequento. Quello swag tra curva da stadio e stagnola non è roba mia». A cosa si deve questa disparità di giudizio?
Non lo so, ognuno ha le sue opinioni e i suoi gusti. Sono contento che gli piaccia quello che faccio. Ora lo posso dire, lui è stato davvero uno dei primi che ha detto: «Speranza è forte». Allo stesso modo con Massimo Pericolo ci siamo sentiti quando avevo appena ripreso a rappare ed è un mio amico. Con lui e Rafilù siamo andati in studio dai Crookers e lì è partito un po’ tutto.
Mi racconti com’è nata l’amicizia con Rafilù Rafilè (in arte Barracano)?
Quando sono tornato a Caserta, all’inizio ho passato un periodo veramente brutto. Finivo di lavorare, andavo in un bar e bevevo tantissimo, fino a non capirci nulla. Poi, quando ho iniziato a riprendermi, ho iniziato a chiacchierare con Rafiluccio. Lui è un po’ più piccolo di me, avevo presente chi era prima di trasferirmi e mi ero accorto che era diventato bravo con il rap. È stato lui a spingermi, è stato la “benzina sul fuoco” che mi ha fatto riprendere a rappare.
Se farai i soldi ti vedremo “diamantato”? O rimarrai sempre un “givovato”?
Non lo vedi? Sono già diamantato. Guarda che bella felpa tarocca della Versace che ho messo questa mattina.
Intervista pubblicata su WU 104 (ottobre-novembre 2020). Segui Nicolò su IG
La foto in alto è di Guido Borso
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