CARLO PASTORE – UN FAN DEL FUTURO
Presente, ma soprattutto futuro della musica: con Carlo Pastore abbiamo parlato di questo partendo dal suo ‘Niente di Strano’, in onda ora su YouTube
di Nicolò Tabarelli
La musica è “il suo” da sempre per Carlo Pastore: in tv, in radio, sul palco con gli Wemen, come direttore artistico di un festival come il MI AMI e anche in altri “luoghi digitali”. Uno di questi è Niente di Strano, lo showcase di musica dal vivo e interviste che conduce su YouTube. Con lui abbiamo parlato di questa nuova esperienza, delle prospettive post-pandemiche per la musica e di come, al di là di questo momento particolare, cambiano i media attraverso cui si fruisce la musica.
Come definiresti Niente di Strano?
Niente di Strano è un programma, è un format, è un contenitore dedicato alla musica live e ai musicisti. È iniziato come progetto di una banca, Buddybank, insieme a un servizio streaming, Tidal. Portava in un luogo non convenzionale, il 19esimo piano della torre Unicredit di piazza Gae Aulenti a Milano, dei concerti. Unisce l’idea di branded content spinto con cose un po’ alla Tiny Desk, ovvero quei format web che danno spazio alla musica live in maniera massiccia. Dopo la prima stagione, che è andata molto bene e in cui abbiamo avuto Marracash, Achille Lauro, Mahmood, ma anche ospiti più piccoli ma non meno interessanti come Birthh e Lucio Corsi, abbiamo deciso di fare una seconda edizione. Causa pandemia non potevamo più montare le strumentazioni nella torre Unicredit. Abbiamo quindi deciso di mandare un messaggio molto forte, anche se semplice: riportare la musica dove si è sempre fatta. Se l’anno scorso era “non è niente di strano fare dei concerti nella torre Unicredit” quest’anno la cosa più “niente di strano” di tutte è realizzare questo format all’Alcatraz, una delle cattedrali della musica dal vivo di Milano. Abbiamo già realizzato cinque puntate, manca solo l’ultima.
Le livestream erano già entrate nelle abitudini degli ascoltatori prima della pandemia, penso alle Boiler Room, ma anche a esempi italiani come Radio Raheem. Quale sono le potenzialità di questo medium?
Penso che sia tutta una questione di fruizione. Il grande scarto che stiamo vivendo in questi anni è sia tecnologico sia di consumo. Le due cose sono in connessione proprio perché la tecnologia ha prodotto nuovo consumo. Ho voluto che Niente di Strano si chiamasse così perché veramente non facciamo niente di strano. Facciamo suonare dei musicisti e io intervisto le persone che suonano. Obiettivamente è quella cosa lì, non ci stiamo inventando nulla di nuovo.
Cambia il modo e il mezzo con cui raccontare la musica.
Quando guardo le stream su Twitch o il grande flusso di comunicazione ininterrotta che c’è oggi nella gente che si racconta, quello che vedo è proprio un modo diverso modo di raccontarsi. Se vuoi parlare di musica, però, il modo di farlo può evolversi, ma alla fine è quella cosa lì: da un lato c’è chi canta e suona e dall’altro chi ascolta. Il mondo dello streaming oggi deve contestualizzarsi e lo sta facendo in modo molto naturale con chi è nativo di una certa generazione, con la tecnologia che c’è. Molti livestream su YouTube assomigliano troppo a certi concerti che davano in televisione, ovvero la differenza la dà solo il contesto. Se al terzo pezzo il concerto non ti piaceva, cambiavi canale. Su YouTube i concerti sono comunque potenzialmente noiosi ma, se ti piace quel genere o quell’artista, arrivi già convinto di volerli vedere. È quello che li potenzia e li rende magari più interessanti e più cliccati, perché non sono contenuti che si inseriscono in un flusso continuo. La differenza oggi la fa chi si crea il proprio palinsesto, cioè tu, il fruitore, che sei davanti a YouTube. Non ti succede mai che ti arrivi qualcosa che non è nelle tue corde e che forzatamente te lo si imponga. Quello che noi cerchiamo di fare con Niente di Strano è di creare qualcosa che abbia un linguaggio un po’ a metà fra i mondi. Questo perché io sono del 1985 e non mi voglio mettere a fare quello giovane. E poi perché, secondo me, il modo migliore di raccontare la musica è questo, facendo suonare i musicisti e cercando si spiegare e di fornire spunti a chi non è ancora interessato a qualcosa.
Quindi individui una costante in “cos’è la musica” e dei cambiamenti in come la si porta al fruitore? Non pensi che l’evoluzione nei media porti anche a cambiamenti strutturali nella produzione e nella fruizione della musica?
Ci sono due temi. Premessa: io sono un fan del futuro. Che porti colori, progresso e gioia o che porti la morte in generale, io sono un fan del futuro, sempre. I cambiamenti che ho vissuto negli anni della mia carriera, quindi, mi hanno sempre gasato. La verità è che ci sono le novità tecnologiche, che da un lato permettono a chi fa musica di farla in maniera nuova e, dall’altro, a chi ascolta di fruirla in maniera diversa. Se guardiamo alla storia, ci sono stati tanti grandi cambiamenti che avrebbero dovuto uccidere la musica. La discografia stessa, per come la intendiamo oggi, nasce grazie a un progresso tecnologico, la fonografia. Poi l’elenco è lungo: le radio libere, le tv musicali, il CD, Napster e gli mp3, lo streaming… Ognuno di questi progressi segna una fase. Quello che a me interessa, in ogni diversa fase in cui mi trovo, è dare spazio all’espressione e al talento. All’interno del sistema produttivo in cui siamo io vado dove c’è l’artista. Cerco di creare spazi per artisti che credo meritino, questo è il mio lavoro.
Il ragionamento quindi è: “C’è una struttura e in base a come cambia cerco di trovare nuovi spazi per l’espressione artistica”?
Certo, perché è anche divertente. A un certo punto arriva Twitch? Ok, proviamo, vediamo. Che cosa ci si può fare qui dentro? Il concetto è sempre di valorizzare la musica e la parola.
Cosa ti manca di più della musica dal vivo in questo periodo?
Purtroppo mi manca tutto, non essendoci niente. La verità è che la radio come medium e i concerti sono i veicoli più rispettosi della musica. La radio è un mezzo per cui ascolti e basta, il suono viene valorizzato dalla mancanza di tutto il resto e ha anche quell’elemento per cui ti imbatti in una canzone senza cercarla. Dei concerti manca tutto perché sono l’espressione più alta della musica. C’è qualcuno che suona e qualcuno che ascolta e lo si fa assieme.
In molti aspetti la pandemia ha evidenziato come l’industria musicale si regga ancora moltissimo sui live, come mezzo di sostentamento sia per gli artisti meno famosi ma anche per tutti i tecnici e maestranze che contribuiscono a montare palco e strumentazioni per i concerti. Ci sono dei modi in cui si può ripensare questo modello?
I tecnici che stanno soffrendo in questo momento sono i tecnici della live industry. Sta soffrendo chi lavora nelle maestranze di un teatro, chi lavora nei cinema, tutti i posti chiusi. Da un lato l’ho vissuto sulla mia pelle e su quella dei tecnici con cui collaboro, dall’altro vedo che sui giornali nazionali si sta ponendo l’accento sugli “invisibili” del mondo dello spettacolo, ma purtroppo la pandemia è una vicenda che riguarda un po’ tutte le fasce della società. Siamo tutti nella stessa palta. C’è chi può lavorare di più c’è chi può lavorare di meno, ma è chiaro che questa è una situazione che affligge tutti. È molto complesso per uno che organizza concerti pensare ora di spostare tutto sullo streaming, perché parliamo di due contenuti completamente diversi. Chi organizza concerti crea i presupposti affinché l’artista si esprima su un palco e faccia il suo lavoro. Organizzare streaming è diverso, è più simile, in un certo senso, al mondo della televisione che a quello dei live. Quello che succederà è che si andrà verso una convergenza ibrida di queste due cose. Quando si ripartirà a fare concerti, bisognerà farlo in quarta e convincere la gente a tornare perché non è scontato vista la grande paura che stiamo vivendo. D’altro canto la questione dello streaming sarà una nuova frontiera che si affiancherà ai concerti. Quindi vedo una convergenza tra mondo del live, mondo della discografia, mondo del gaming, mondo della televisione e mondo dello streaming. Abbiamo visto alcuni esperimenti in questo senso, da Travis Scott su Fortnite a Tiny Desk e, andando avanti, magari troveremo l’idea che definirà la nuova realtà crossmediale fra tutte le piattaforme in gioco.
La tua analisi potremmo riassumerla così: viviamo un momento di crisi a sé, gli equilibri tra i diversi media sarebbero comunque cambiati e continueranno a cambiare anche una volta finita la pandemia?
Il punto chiave è che adesso i concerti non si possono fare e anche il 2021 è molto a rischio. Anche se ci sono talmente tanti investimenti in ballo che le multinazionali – che si stanno peraltro comprando tutto il mondo live, ma questo è un altro capitolo – hanno un disperato bisogno di poterli fare. Se un festival come Glastonbury dovesse saltare un altro anno non so se avrà la forza di tornare. Parliamo di milioni e milioni di euro di investimento. Come MI AMI, il festival di cui sono direttore artistico, ci stiamo ponendo questo tipo di domande. L’incertezza sul quando potremo tornare a fare il festival come è sempre successo ci costringe a ripensarci, il che è anche un pensiero intrigante da un certo punto di vista. Nell’attesa, comunque, non vogliamo stare fermi ad aspettare. Faremo ciò che il presente ci permette di fare.
La foto in alto di Carlo Pastore è di Davide di Ninno
Dello stesso autore
Nicolò Tabarelli
INTERVIEWS | 28 Ottobre 2021
MECNA E COCO – JOLLY DI MALINCONIA
INTERVIEWS | 2 Settembre 2021
SHABLO – ARTISTI DELLA PROPRIA VITA
INTERVIEWS | 8 Luglio 2021
SOTTOTONO – UN PASSO VERSO LA REALTÀ
INTERVIEWS | 3 Giugno 2021
GIAIME – RIALZARSI COME UN BOSS
CONTENTS | 23 Marzo 2021
‘NUVOLA’ DI DREFGOLD E SIDE BABY, RELOADED