I P L Z E LA LORO VERSIONE DI ‘NOI COME VOI’ DI LUCIO DALLA
I P L Z hanno registrato una cover di ‘Noi come voi’ di Lucio Dalla, che vi presentiamo oggi in anteprima qui su WU
di Emma Cacciatori
Resi “invisibili in bella mostra” dalle maschere che portano, i P L Z ci parlano della loro storia, dei loro autori preferiti e di come esorcizzare la pandemia con la musica. Come? Magari rivisitando Noi come voi, una canzone di Lucio Dalla degli anni Ottanta, che invece di invitare alla distanza ci dice che, in realtà, siamo tutti molto vicini.
Oggi vi presentiamo in anteprima Noi come voi di Dalla nella versione dei P L Z. La trovate sotto l’intervista, impreziosita dagli scatti realizzati in occasione di questa anteprima.
Iniziamo dal principio: come si sono conosciuti i P L Z?
Ci siamo conosciuti per caso, suonando insieme in un altro progetto musicale. Ci siamo guardati ed è subito sbocciata l’intesa perché siamo assolutamente complementari, sotto ogni punto di vista direi. Così non c’è gara, non c’è competizione, semmai una sana emulazione. Lo so, suona stucchevole, ma che ci possiamo fare se questo connubio è perfetto?
Perché la maschera? Volete mostrare o nascondere qualcosa?
Vogliamo essere invisibili in bella mostra. Vogliamo creare qualcosa che sia meglio delle nostre singole personalità. Anche perché quello che deve contare è la musica e le canzoni, non la nostra vita personale, non quello che siamo nel privato. Questi tempi sono fin troppo all’insegna del mero esibizionismo, della condivisione senza filtri dei propri istinti e sentimenti. È un piagnisteo continuo, un eterno autodafé. Sinceramente, chissenefrega. La musica, come l’arte, deve aprire altri mondi e prospettive. Ultimamente, invece, sembra di sguazzare in una specie di autocompiacimento sentimentale. L’uomo, l’umano, con i suoi difetti e suoi slanci, ci piace celebrarlo in musica, nei testi. Non abbiamo bisogno di denudarci, perché la nostra è già musica nuda.
Perché coverizzare Noi come voi di Lucio Dalla?
Noi come voi è contenuta in un album, 1983, che già segna una fase di declino di Dalla dopo il botto con il disco precedente. È un album si apre ai suoni plasticosi degli Ottanta, che coniuga jazz, prog e italo disco: c’è lo zampino di Malavasi. A noi quel senso di decadenza piace, così come quel fregarsene del purismo. È anche un pezzo davvero sui generis per come si muove algido e solenne insieme. Una cosa così forse Dalla l’aveva fatta solo con un pezzo enigmatico come la Signora, altro capolavoro.
C’è qualche aneddoto che lega i P L Z a questo brano?
Non ce n’è uno in particolare, se non il fatto che quel disco e quel pezzo hanno accompagnato la nostra infanzia., durante i viaggi estivi, nei pomeriggi afosi passati in coda sull’autostrada o sulla litoranea con Lucio che impazzava dallo stereo. Era tutto uno scintillio di suoni alieni, che manco riuscivo a distinguere, ma di cui avvertivo la sensualità, la pericolosità. È una delle dieci canzoni impresse nel nostro DNA sonoro. Andava a un certo punto messa a fuoco, oggettivata, esternata, esorcizzata. Come un demone o un’ossessione.
Com’è nata invece l’idea alla base dello shooting fotografico, con questo letto e questi cartelli che ci riportano a Lennon/Ono?
Sempre in tema di esorcismi, volevamo celebrare un rito catartico per la fine di questo anno orribile. Si è tanto parlato di questa pandemia come di una guerra. Come in tempo di guerra ci siamo divisi su posizioni estreme, ognuno preda dell’ansia e dalla paura. I social non fanno altro che esasperare questo aspetto, polarizzando e cristallizzando questa strana idea di noi stessi. Un anno passato a sentirsi soli e monolitici nelle proprie idiosincrasie. E allora ci siamo detti: facciamo come Yoko e John. Siamo in due, siamo indissolubili al punto da aver perso nome e identità. Mettiamoci in un letto, anzi nella vasca da bagno. Facciamo un bed-in, anzi un bath-in e purifichiamo questa casa, questa città, questo paese con un canto liberatorio e libertario. Il pezzo c’era già nel cassetto ed è perfetto perché lancia proprio questo appello all’unità fra persone che si sono incontrate per caso.
Potete darci qualche indicazione sulle vostre coordinate musicali e su quali sono gli artisti importanti per la vostra formazione?
Siamo musicalmente onnivori, ma il nostro suono deve molto al pop elettronico fra Novanta e primi 2000: da Björk a Caribou, passando per il trip hop, la folktronica, il glitch, l’electro, la techno, l’hip hop più sperimentale. Ci hanno formato Clark, Tim Exile, Schneider TM, i Vive la Fête, Planningtorock, Tyler, The Creator e mille altre cose. Sul versante italiano, abbiamo ascolti più classici: Battisti-Battiato-Dalla, la triade sacra insomma, con cui è impossibile non fare i conti.
Ipotizzando che torni una situazione stabile, ci elenchereste tre/quattro esperienze che vorreste fare nei prossimi sei mesi? Musicali e non, si intende.
Intanto andarcene a ballare, riprendere un po’ di vita da club; viaggiare, portare in giro il nostro show, magari in quegli stessi club o in situazioni analoghe; e poi tornare a vivere un po’ di sana promiscuità di corpi. Questa sospensione della dimensione materiale dell’esistenza è davvero insostenibile. Questa astinenza digitale ci uccide. Prima ancora che suonare, probabilmente organizzeremo un baccanale. Saremo alieni, ma ci piace molto mischiarci fra l’umanità.
I P L Z su IG
Tutte le foto nella pagina sono di Alessandra Lanza (qui la trovate su IG), set design facciocosepunto (qui su IG), art direction Costello’s (qui su IG)
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