IN VIAGGIO TRA LE INDUSTRIE
Avete mai pensato di esplorare sul campo l’Italia delle industrie? Ora si può grazie al turismo industriale, attività che ti fa “viaggiare” nelle storie intrecciate politiche, economiche e culturali del nostro Paese
di Marilena Roncarà
Dopo aver ospitato per anni fonderie, miniere, officine, birrifici, produzioni manifatturiere, catene di montaggio, centrali elettriche, villaggi operai e uffici, una parte del patrimonio industriale del nostro Paese è stato nel tempo riconvertito a nuove funzioni, trasformato in musei di impresa o in fabbriche della cultura. Il risultato sono pezzi di un passato più o meno recente che, al posto di cedere il passo all’oblio e all’abbandono, sono diventati storie da percorrere, archivi di memoria da attraversare, luoghi nuovamente aperti, questa volta al turismo, ma in sostanza alla vita.
A proporceli, in una sorta di inventario, ci pensa la Guida al Turismo Industriale scritta dal geografo Jacopo Ibello e pubblicata da Morellini Editore proprio a novembre di quest’anno. Quello che emerge, attraverso oltre 300 schede ben dettagliate, è un’immagine inedita e lontana dai soliti percorsi turistici degli ultimi 150 anni del nostro Paese, un ritratto che fa emergere lo stretto legame fra i territori, le produzioni di ogni tipo e le culture di appartenenza.
Scopriamo così l’attività mineraria in Sardegna, iniziata 9 mila anni fa con l’ossidiana e poi perfezionatasi con le colonizzazioni di Fenici e Romani, attratti sull’isola proprio dalla ricchezza del territorio; o che la lavorazione del ferro, tipica ancora oggi dell’economia bresciana, ci riporta addirittura ai Camuni, il popolo che si era insediato nella Val Camonica all’incirca nel 8.000 a.C.; senza dimenticare Torino dove il viaggio comincia con una tappa al Museo Nazionale dell’Automobile, salvo poi spostarsi al parco Dora, nato nel 2011 dalla riqualificazione delle Ferriere Fiat e della Michelin e in cui adesso archeologia industriale, verde urbano, arte, sport e cultura si fondono restituendo alla città gli spazi dell’industria pesante.
Ma quando comincia tutto questo interesse per il turismo industriale? Se da noi il fenomeno è relativamente recente, l’esempio a cui guardare viene dall’estero e più precisamente dal Regno Unito, dove già a partire dagli anni Cinquanta del Novecento si diffonde l’idea di recuperare quelli che erano i resti della rivoluzione industriale: le prime ferrovie, i ponti in metallo, le rovine di forni, tutte opere a cui fu dato presto il nome di “archeologia industriale” perché proprio come quella classica, erano le tracce di un’importante epoca storica da studiare e salvaguardare. Dalla fine degli anni Novanta iniziano così le operazioni di recupero del patrimonio industriale anche a fini museali e tante industrie dismesse si aprono a ospitare nuove funzioni commerciali o residenziali. Da lì a poco anche le città comprendono la capacità di rigenerazione di queste attività e cominciano a metterle al centro di una nuova progettualità urbana, per cui alle costruzioni ex-novo si affianca o si preferisce il recupero dell’esistente.
L’interesse per il turismo industriale si fa spazio, pian piano, anche da noi: è infatti il 1997 quando nasce l’AIPAI, l’Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale, la sola attiva in quest’ambito a livello nazionale. A lei fa eco nel 2001 l’associazione Museimpresa, che riunisce i musei e gli archivi digitali delle aziende italiane arrivando a contarne ben oltre 90 che hanno messo il proprio patrimonio a disposizione della collettività. Hanno invece circa una decina di anni di vita le associazioni attive a livello locale come la genovese inGE, impegnata a diffondere e incentivare la cultura d’impresa, dell’architettura e del patrimonio industriale nel territorio ligure, e la romagnola Spazi Indecisi, che sperimenta interventi di valorizzazione dei luoghi abbandonati attraverso azioni di matrice culturale.
Per chi cerca un aggancio sui social, quello da cercare è il gruppo Facebook Save Industrial Heritage fondato sempre dal geografo Jacopo Ibello e che, in dieci anni, ha raggiunto oltre 2.000 iscritti. Gli eventi da tenere d’occhio sono le visite in fabbrica, le mostre e gli itinerari realizzati ad hoc, da percorrere appena si potrà.
Tra i luoghi da non mancare, e qui il consiglio lo abbiamo chiesto sempre a Jacopo Ibello, in un ipotetico viaggio in tre tappe che risalgono da sud a nord lungo lo Stivale c’è il museo ferroviario di Pietrarsa a Napoli, dove nel 1800 per volere di re Ferdinando II, si insediò un imponente complesso metallurgico destinato alla manutenzione e alla produzione di locomotive; la Centrale Montemartini di Roma, il primo impianto cittadino pubblico per la produzione di energia elettrica; la fabbrica alta di Schio, un luogo da vedere, anche se attualmente è chiuso, che è da più parti considerato il simbolo della rivoluzione industriale italiana dell’Ottocento.
Una realtà avveniristica per l’epoca perché, in un territorio come quello veneto, nella vulgata popolare da sempre etichettato come la parte più arretrata del nord, era la cornice di un’esperienza industriale e sociale che rifletteva quelle delle nazioni più avanzate del nord Europa, Inghilterra compresa. Si tratta del villaggio operaio a sud del complesso Lanerossi, simbolo di un’industria che non fu solo fatica e sfruttamento, ma anche possibilità di riscatto dalla povertà per migliaia di famiglie. Sono queste e tante altre, come quelle delle centrali idroelettriche, dei cantieri navali, fino alle grandi manifatture tessili o ai poli metallurgici, le storie del passato recente che ci racconta il turismo industriale, regalandoci un po’ di consapevolezza in più per il presente nostro e del nostro Belpaese.
Articolo pubblicato su WU 105 (dicembre 2020 – gennaio 2021)
Nella foto in alto: Il parco Dora di Torino, foto di Jacopo Ibello
Il libro di Jacopo lo puoi trovare qui
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