VISIVA #05 – MARTA BLUE, IL GLITTER NELL’OSCURITÀ
Le foto di Marta Blue non si soffermano sulla realtà ma ne creano una fatta di pochi elementi che causano contrasti, spesso perturbanti, che evocano storie ed emozioni nelle quali possiamo tutti provare a riconoscerci
di Emma Cacciatori
‘Visiva’ è una rubrica che si occupa di mostre, eventi, progetti sul territorio e multimediali legati all’arte. Più che fornire il rendiconto di quanto si sa che c’è, fa vedere quanto sta per esserci, lasciando immaginare quanto sta per cambiarci.
Marta Luccisano, in arte Marta Blue, lavora come art director a Milano ed è artista e fotografa. Collabora con diverse testate tra cui “Domus”, “L’Espresso”, “LensCulture” e “L’Officiel” e ha esposto in gallerie e festival di tutto il mondo. I suoi lavori appartengono al variegato genere della “staged photoghaphy”, un tipo di fotografia che non vuole riprodurre la realtà, ma piuttosto crearne una, popolata di storie ed emozioni, in cui lo spettatore è invitato a riconoscersi.
La prima volta che ho visto gli scatti di Marta Blue della serie Darkness is colorful ho pensato a un consiglio che mi diceva spesso mia madre da piccola: «Disegna i tuoi “mostri” e renditeli simpatici». Così, una volta “smascherati”, chiamati per nome, non mi avrebbero poi fatto così tanta paura. Non so se la mamma di Marta le diceva qualcosa di simile, ma certo lei si muove nella stessa direzione, in quanto, come dichiara lei stessa, la sua ricerca «è un viaggio introspettivo in cui confronto le mie emozioni e cerco di far emergere le mie paure».
Certo, non è facile dare forma alle proprie fragilità o ai propri impulsi nascosti: quello che ne risulta, affidandoci alle parole o alle immagini, è sempre una opinabile approssimazione, a maggior ragione, se l’inconscio lo si vuole “fotografare”. Eppure, in questo caso, un espediente c’è e consiste nel rinunciare alla naturalezza, alla immediatezza che di solito attribuiamo al fare fotografie: è l’artificio la chiave per accedere all’autenticità del sogno ed è lo studio fotografico il lettino dello psicanalista.
«Tutte le immagini che ho realizzato sono progettate, sono tutte costruite, non c’è nulla di catturato o di casuale». Questa ricostruzione consapevole dei frammenti dell’inconscio non comporta, nel caso di Marta, una complessa scenografia. Tutt’altro: le sue immagini giocano sulla messa in scena di pochi, semplici elementi, affidati alle infinite varianti della sintassi del contrasto. In questi scatti lo spettatore è messo di fronte al perturbante, che irrompe nell’accostamento imprevisto con la quotidianità. A volte a turbarci sono gli oggetti, come un fermacapelli fatto di denti, un curva ciglia che sembra uno strumento di tortura, un lavandino pieno di ciocche di capelli; altre volte sono i corpi, sporcati da liquidi che colano, macchiati dal sangue, marchiati dall’impronta di oggetti invisibili, di scritte “infernali”, altre volte ancora è il gesto del toccare, del contatto, che supera la soglia del consentito, come quando le dita di una mano affondano nel cibo. L’affiorare di questo mondo onirico è spesso rappresentato dall’incursione degli animali, che, però, privi del loro ambiente, sembrano provenire dalle sale di musei di storia naturale.
Questo gioco illusionistico del contrasto non vuole scandalizzare lo spettatore, e neppure terrorizzarlo. Al contrario, come afferma Marta Blue, intende evidenziare la differenza «tra ciò che è reale e ciò che si vuole far credere sia reale», dove, naturalmente, il “reale”, la verità da cogliere, non è in ciò che si vede, ma in ciò a cui si allude. E, a questo proposito, va notato che la realtà di queste fotografie è declinata al femminile: qui la solitudine, la morte, la paura sono intrinsecamente legate alla seduzione, alla fantasia, alla giovinezza. E alla magia. «La magia è ovunque», ha detto Marta Blue in una intervista. E se ne accorge chi guarda le sue fotografie.
In alto: foto di Marta Blue. Tutte le immagini della pagina sono di Marta
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