CAMERA WORK – MANUEL GRAZIA
‘Camera Work’ è una serie di interviste ai fotografi italiani più attivi in ambito musicale come Manuel Grazia, protagonista della quinta puntata
di Futura 1993
Lenti grandangolari e luci innaturali sono il suo personale mondo eccentrico. Manuel Grazia, giovanissimo fotografo da sempre amante dell’arte, si appassiona al mondo della fotografia spinto dal padre e immortala, analogicamente, anime e corpi usando gli obiettivi come occhi per catturarne l’essenza. Esprime a pieno il suo stile eccentrico in ambito musicale, dando vita a dei veri e propri storytelling muti. Ha fotografato artisti come Maneskin, Fedez, Blanco e moltissimi altri della scena prettamente italiana, rendendo il suo stile riconoscibile in ogni scatto e creando la perfetta unione tra soggetto ed essere.
Il suo obiettivo è creare opere che possano essere viste e apprezzate da sempre più persone nel mondo e che possano resistere nel tempo. Abbiamo avuto l’occasione di fare una chiacchierata con Manuel Grazia e di poter vedere il mondo con i suoi occhi, o meglio dire, con i suoi obiettivi.
Ciao Manuel, come stai? Ti va di iniziare a parlarci di come ti sei avvicinato al mondo della fotografia?
Bene, solitamente il periodo estivo mi porta tanta creatività e ispirazione non avendo la pressione dei numerosi lavori. Ho sempre avuto una macchina fotografica in mano, forse spinto da mio padre, anche lui appassionato. È però da soli due anni che il mio approccio è a livello professionale.
Hai fotografato Maneskin, Fedez, Blanco e moltissimi altri artisti della scena musicale prettamente italiana. Cosa ti piace di più della fotografia applicata in ambito musicale?
La cosa che apprezzo di più è il rapporto tra le due arti. Creare un progetto univoco che unisca la musica a contenuti visivi che completino l’immaginario dell’artista. Ritrarre una qualsiasi persona fa entrare in comunicazione diretta con essa e applicare questo ad un personaggio famoso acquista, per me, ancora più valore.
Trattando artisti e di conseguenza stili differenti, quanto è importante la fase di ricerca reference e moodboard? Hai qualche punto di riferimento fermo o ti affidi totalmente al mood intrinseco del progetto durante queste prime fasi preparatorie?
Cerco sempre di mantenere un mio stile caratteristico che mi contraddistingua. Uno delle mie maggiori ispirazione è sicuramente Tim Walker, che pone tantissima attenzione alla direzione artistica di ogni progetto che, nonostante sia sempre basata su un gusto personale, cerca sempre di adattarsi alla singolarità di ogni artista.
Quanto è diventato importante, oggi, il processo fotografico presente all’interno di una narrativa musicale?
Lo stile musicale caratterizza tanto ogni singolo artista e ci fa appassionare alla sua arte ma, senza un forte immaginario visivo, verrebbe a mancare qualcosa. Tante volte ci si affeziona ancor prima allo stile e alla personalità del cantante che alle canzoni. O, quantomeno, il connubio delle due cose crea l’immaginario stesso al quale facciamo riferimento. In quest’ultimo rientrano le foto tanto quanto i videoclip e tutta la direzione artistica che ne consegue.
Come definiresti il tuo stile e in quali altri ambiti ti piacerebbe evolverlo?
Se dovessi scegliere una parola direi eccentrico. Tutto ciò che altera la realtà come lenti grandangolari o luci innaturali è ciò che al momento sento più mio. La fotografia è, ora, la modalità che sento più giusta per esprimermi, ma non escludo che in futuro questa cosa possa cambiare. Nel frattempo vorrei integrare meglio un’altra mia grande passione che è quella del cucito, magari applicandolo sulle foto stampate. Infatti fatico a fare della post produzione esclusivamente in camera chiara, mi risulta sempre più naturale utilizzare metodi analogici e solo successivamente trasferire tutto su file. Un’altra forma d’arte che mi piacerebbe indagare è quella degli zine fotografici, che ci riporterebbero ad avere un contatto più fisico col prodotto fotografico che manca molto negli ultimi anni.
Oggi, grazie agli smartphone e ai social network, tutti fotografano. Cosa fa la differenza, a livello stilistico, tra una foto “comune” e uno scatto che viene definito “artistico”?
La parola arte mi spaventa e temo spesso di usarla a sproposito. Non credo sia definibile un confine netto, ci sono tante variabili che possono elevare la singola opera a un livello maggiore. Un fattore importante, secondo me, è la comprensione dell’opera: meno è elitaria, più ha senso di esistere. Ciò non esclude che dover avere basi culturali per apprezzarla al meglio non possa essere un fattore aggiuntivo, ma il bello deve poter essere universale. Un’altro importante fattore è la progettualità e la direzione artistica. Per natura una fotografia non può essere oggettiva, ma il solo fatto di una visione di insieme studiata a fondo incrementa notevolmente il valore artistico della/e foto rispetto al catturare una porzione della realtà che ci circonda.
Come si approcciano gli artisti davanti al tuo obiettivo? Naturalmente ci sono persone più a loro agio di altre, ma ciò che definisce un vero ritratto è l’interazione col soggetto, cosa ben diversa dal catturare una immagine di quella persona. Cerco sempre il più possibile di entrare in confidenza con chi ho davanti, in maniera da poter ottenere il miglior risultato visivo ma senza mai screare forzature del suo essere. Nonostante ogni volta sia una nuova sfida, lo scopo di ogni ritratto dovrebbe essere quello di dare al fruitore il senso di star dialogando direttamente col soggetto stesso.
Cosa vorresti dal tuo futuro? Come ti vedi da qui ai prossimi 5 anni?Proprio di recente sto lavorando tanto sul vivere nel presente, unico “luogo” che davvero esiste; dunque mi risulta complesso proiettarmi così in la nel tempo. Detto questo trovo sano porsi degli obbiettivi e sicuramente uno di questi è di mettere in continua discussione il mio modo di esprimermi e cercare perennemente di rinnovarmi. Ciò che mi da una carica perenne è proprio il fatto di creare opere che possano essere viste e apprezzate da sempre più persone nel mondo.
Dai tuoi social possiamo vedere, oltre all’amore per la fotografia, anche una passione per la sartoria e per la moda. Hai mai pensato di cambiare totalmente strada? Se non ti fossi dedicato alle arti visive, cosa avresti voluto fare?
Quella della moda e del cucito è una passione che cercherò di integrare sempre più in ciò che già faccio, perché la sento mia tanto quanto la fotografia. Sicuramente quella sarebbe potuta essere un’altra papabile strada, ma a oggi cerco di mantenere questo hobby puramente come estensione della fotografia. In generale, più le arti si mescolano più trovo interessante un progetto, anche per questo adoro lavorare in gruppo soprattutto con artisti non del mio ambito.
Da poco sei entrato in un team creativo chiamato Espresso Studio. Ti va di raccontarci cos’è?
Espresso Studio è una mini creative agency che racchiude al suo interno artisti, grafici, fotografi, direzione creativa, stylist, e tanto altro. L’obiettivo è proprio quello di crescere insieme agli altri artisti, è un ambiente molto stimolante e che mi sta aiutando a crescere sia come creativo che come persona.
Cosa diresti a chi vorrebbe intraprendere il tuo stesso percorso lavorativo? Hai qualche consiglio da tenere sempre ben a mente?Nonostante sia agli inizi, c’è sicuramente una cosa che ho già imparato: fin da subito, bisogna nutrirsi solo di passione per l’arte e per la creazione del bello. Mettere da parte pensieri puramente venali fè solo positivo e svincola totalmente la creatività dal commercio delle proprie opere. Bisogna cercare sempre di fare ciò che più si sente proprio, mettendosi perennemente in discussione. L’inizio è faticoso e fatto di poche soddisfazioni apparenti, ma quando la passione è il carburante arriverai sempre dove vorrai.
Testo di Francesca Cerardi
Nella foto in alto: Manuel Grazia
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