IL GIOCO GROTTESCO DI ‘OLD’
M. Night Shyamalan, dietro la macchina da presa de ‘Il Sesto Senso’ e dei più recenti ‘Split’ e ‘Glass’, si prepara a dividere nuovamente il pubblico con la sua ultima fatica, ‘Old’, disponibile solo nelle sale cinematografiche dal 21 luglio
di Davide Colli
Tra la fine del secolo e durante questo in corso, M. Night Shyamalan è stato tra i pochi autori non solo in grado di garantire alla propria filmografia un’impronta distintiva e costante, ma di elaborare una vera e propria formula, un modello di funzionamento dei propri congegni cinematografici.
Old non fa eccezione: la paranormale disavventura di una famiglia intrappolata su una spiaggia dove lo scorrere del tempo risulta esponenzialmente accelerato non è altro che l’ennesimo splendido rompicapo che il regista pone al suo pubblico, con tanto di modus operandi collaudato che prevede l’ormai entrato nell’immaginario collettivo Shyamalan’s Twist finale.
La sfida allo spettatore, ancor più che con i due capitoli conclusivi della sua trilogia supereroistica (composta da Unbreakable – Il Predestinato, Split e Glass), si pone su un doppio livello di lettura: in primis è chiamato a sbrogliare la misteriosa matassa imbastita dal regista, ma è anche richiesta da parte del regista la consapevolezza della natura ludica del film, ben palesata da un continuo alternarsi di momenti di sana tensione a situazioni al limite del camp, la cui follia spesso respinge il fruitore meno smaliziato.
Mai come in Old al pubblico viene riservato un ruolo decisamente attivo, facendolo trovare durante più riprese a rivestire non solo gli occhi, ma anche le più svariate condizioni fisiche dei personaggi coinvolti per merito di una ricercata sperimentazione visiva (specialmente, appunto, in materia di soggettive), allo scopo di indagare ulteriormente su due delle tematiche fondanti della filmografia di Shyamalan: lo sguardo come matrice indissolubile della settima arte e la fragilità dell’essere umano.
In questo caso non si parla di particolari debolezze come per gli alieni di Signs o per protagonisti della trilogia sopracitata, bensì ci si sposta su un piano ben più universale, che va a coinvolgere le mancanze irreparabili dell’uomo di tutti i giorni. Di fronte a tale irrimediabilità, il regista invita chi sta guardando la sua opera a godersi i deliziosi e gioiosi piccoli momenti del proprio presente, accelerato o meno che sia ed è forse nei minuti di chiusura che questo suo intento si amalgama con minore spontaneità alla risoluzione dell’intreccio.
Tuttavia con Old, il suo primo vero body horror nel quale l’invecchiamento diventa la più sconfortante e aberrante delle mutazioni, ci invita nuovamente a mettere da parte il bagaglio di preconcetti consolidato da decenni di blockbuster made in Hollywood e ad avventurarci in un gioco insolito, ma in cui è sempre un piacere ritornare a perdersi.
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