TUTTI FUORI, MA COME?
I chatbot, un tempo legnosi e decisamente poco “umani”, si sono evoluti e si stanno affermando come strumenti indispensabili nel customer care: ecco che cosa ha permesso il salto di qualità di questi assistenti virtuali
di Elisa Zanetti
Gli astronauti lo fanno da sempre prima di una missione: si isolano e vivono in condizioni particolari per vedere se saranno in grado di affrontare la vita su una stazione spaziale che li obbligherà a rapportarsi con le stesse persone per periodi lunghi, condividendo spazi ridotti. Da un anno abbondante e con sfumature diverse, abbiamo dovuto farlo anche noi. Senza alcuna preparazione siamo stati chiusi nelle nostre case, abbiamo affrontato misure restrittive, vissuto in solitudine desiderando compagnia o in compagnia forzata sognando privacy. E ora che è arrivato il momento del ritorno a una quasi normalità non sempre sappiamo come gestirlo.
«Settimana prossima farò la mia prima dose di vaccino, dopodiché dovrò sforzarmi di uscire dalla mia “capanna”», racconta Giulia Cosci Bernard, giovane fotografa, che a partire dal primo lockdown ha tenuto un diario fotografico sul suo profilo Instagram, postando ogni giorno cinque foto per raccontare la sua vita chiusa fra le mura di casa. «Da una parte ho molta voglia di tornare alla normalità, dall’altra tante cose mi riescono difficili, come l’idea di entrare in contatto fisico con qualcuno. Lo percepisco come un rischio, è qualcosa a cui mi abituerò con lentezza».
Secondo un sondaggio di IPSOS svolto in 30 diversi Paesi per il World Economic Forum, il 45% degli intervistati afferma che la propria salute mentale ed emotiva è peggiorata dall’inizio della pandemia. In Italia, il 54% degli intervistati dichiara di avere visto un peggioramento, solo l’8% un miglioramento. Gli studiosi temono che l’impatto della pandemia a livello di salute mentale avrà una scia più lunga di quella della patologia stessa. «La pandemia ha prodotto una serie di fattori psicologici che possono portare a problemi sul piano della salute emotiva: ansia, confusione, depressione e disturbo da stress post-traumatico – spiega a National Geographic Luana Marques, psicologa e professoressa presso la Harvard Medical School – sono comuni sintomi quali affaticamento, spossatezza, burnout e stress che possono avere effetti a lungo termine sulla fisiologia e sul funzionamento del cervello».
Accogliere le proprie emozioni, porsi piccoli obiettivi quotidiani, tenere traccia dei progressi raggiunti e imparare a chiedere aiuto all’occorrenza sono gli strumenti che abbiamo a disposizione per affrontare possibili momenti di disagio. «Ho inizia- to questo diario perché ne avevo bisogno dal punto di vista emotivo, mi ha permesso di creare una sorta di ritualità, uno schema ripetitivo che mi ha aiutata da una parte a mantenere una routine, dall’altra a differenziare giornate apparentemente tutte uguali – commenta Cosci Bernard – mi sono sorpresa per la grande interazione: molte persone si ritrovavano, cercavano conforto, quella che inizialmente era una cosa che facevo solo per me ha assunto una dimensione diversa».
Il ritorno alla normalità potrebbe rivelarsi un passaggio non scontato, minacciato da quella che gli psicologi Marcantonio Spada e Ana Nikcevic hanno denominato “ansia da Covid 19”, caratterizzata da paura di uscire, desiderio di evitare persone e luoghi pubblici e preoccupazione costante per sé e gli altri di contrarre il virus. A confortarci arriva però uno studio coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con diversi enti e università italiane. I ricercatori hanno studiato le reazioni di un gruppo di scienziati che per circa un anno hanno lavorato presso la remota stazione Concordia in Antartide, situata a 1670 chilometri dal polo sud geografico, esposta a forte vento, carenza di luce e temperature che possono raggiungere i -80 gradi.
«Sebbene la ricerca sia nata con premesse diverse – spiega Simone Macrì, ricercatore dell’ISS a capo dello studio – sono innegabili le similitudini tra l’isolamento a cui hanno volontariamente aderito i partecipanti e quello a cui ci siamo responsabilmente sottoposti per fronteggiare l’epidemia da Covid 19». Sono stati analizzati le concentrazioni di cortisolo (l’ormone dello stress), l’espressione dei circa 20 mila geni che costituiscono il progetto di vita di ciascuno di noi e lo stato di benessere psicofisico. I ricercatori si sono inoltre chiesti se “l’attaccamento sicuro”, ovvero la propensione a ritenere di poter superare situazioni di difficoltà, fosse in grado di contrastare le eventuali conseguenze negative dell’isolamento.
I risultati sono rassicuranti: «Sebbene durante la permanenza in Antartide l’isolamento prolungato abbia aumentato i livelli di stress, alterato i livelli di espressione genica e peggiorato l’umore dei partecipanti, il ritorno alla vita normale ha cancellato la maggior parte di questi effetti – commenta Macrì – inoltre, abbiamo osservato che le persone caratterizzate da una certa fiducia interiore e sicurezza in se stesse, sono quelle che hanno risentito meno di uno stress prolungato e inevitabile come quello vissuto in Antartide. In ultima analisi, sono state dimostrate ancora una volta le straordinarie capacità dell’essere umano di adattarsi a condizioni di stress mettendo in moto tutta una serie di risposte biologiche di cui l’evoluzione ci ha fatto dono». A questo punto, non resta che uscire.
Nella foto in alto: foto di Giulia Cosci Bernard (IG)
Articolo pubblicato su WU 108 (giugno luglio 2021)
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