READY TO DRINK
Il cocktail si perfeziona per consumi totalmente diversi e nuovi, e si plasma per un mercato che cambia, si amplia e intercetta nuovi gusti e tendenze. E la qualità è sempre più evidente
di Martina Di Iorio
Eresie per l’ortodosso bevitore, semplice imposizione stilistica di una moda proveniente chissà da dove, perché è una specie di sacrale abitudine – quella di bere al bancone del bar – che non può e non deve essere scalfita da niente e nessuno. Ora un manipolo di geni del marketing ci vuole convincere che il cocktail debba arrivare sotto il nostro naso in lattina o addirittura in busta sottovuoto. Inorridirebbero anche i futuristi, per definizione amanti del progresso, bevitori sopraffini di quelle polibibite (così venivano chiamate le bevande miscelate con alcol e altri sodati) che raccontavano in tre sorsi la favola romantica della grande ospitalità e artigianalità italiana. Poi, come in tutte le cose, i più sensibili al fascino del blue ocean market che alle odi di Marinetti e compagni, non ci hanno messo molto per cambiare idea, anche su uno dei temi apparentemente inscalfibili. Perché inutile scendere nel banale e nel populismo, ma sulla tavola e sulla mamma non si scherza.
E invece eccoci qui a strizzare l’occhio e le papille gustative proprio a queste polibibite in versione 2.0, perché i ready to drink sono tra noi più di quanto potessimo immaginare. Complice un periodo non proprio felice per bar e bartender, coinvolti nella grande montagna russa di aperture e chiusure, i professionisti del bere di qualità non sono stati a girare a vuoto lo shaker in mano e hanno dimostrato di saper cavalcare le difficoltà con grande entusiasmo. E i risultati sono sulla bocca di tutti. Letteralmente, in questo caso. Il cocktail perciò si modifica, si studia con la stessa precisione con cui ci si approccia a tecniche culinarie avanzate, si prepara al mercato che cambia, alle esigenze che si modificano. In poche parole, si perfeziona per usi e consumi totalmente diversi e nuovi. Non da tutte le catastrofi – perché quella che ha colpito il settore dell’hospitality lo è stato – se ne esce sconfitti. Noi consumatori, all’inizio timidamente e un po’ restii nell’accettare di bere un Old Fashioned sul balcone di casa invece che al bancone del bar, ci siamo a mano a mano aperti. La sete, dopotutto, è una cosa seria.
C’è qualità, ricerca, e una proposta varia per tipologia, preparazione e packaging. Un mercato nel quale fino a poco tempo fa nessuno avrebbe scommesso, soprattutto perché il formato to go è spesso considerato svilente, non idoneo, associato a qualcosa di non naturale e quindi non genuino. Sarà però che siamo sempre più abituati al consumo via web, all’ordine via delivery, sarà semplicemente che alcuni di questi cocktail sono prodotti a regola d’arte – anche nella conservazione – che il ready to drink non è rimasto confinato nella categoria “moda da lockdown”. Tanto che alcuni ci avevano scommesso ben prima, come i romani Emanuele Broccatelli e Valeria Bassetti, dietro i banconi della capitale da tanti anni. Con la loro startup Drink.It sono stati i primi a lanciare cocktail imbottigliati con un packaging minimale e una bottiglia di vetro simile a quella delle flebo ospedaliere. Negroni, Gin Martini, Mi.To., Amaro Perfetto, un blend di vermouth italiani e amari. Le bottiglie sono da 500 ml e si possono anche comprare in box.
Sui classici dell’aperitivo italiano troviamo anche i ready to drink di Carpano, azienda torinese di vermouth e storico marchio di Fratelli Branca Distillerie (Milano). Economici, perfetti per un drink, basta aggiungere ghiaccio e avere una fetta di limone: il Mi-To è preparato infatti con Punt e Mes e Carpano Botanic Bitter in parti uguali, il Negroni con Carpano Vermouth Classico, Carpano Botanic Bitter e gin sempre in parti uguali. Si trovano anche nella grande distribuzione. Sempre a Milano non mancano altri valorosi esempi, come i preparati alcolici di Domenico Carella (Carico) con la linea COK, acronimo di Cans or Kegs (lattine o fusti). Infatti dietro al nome c’è già la missione di Carella, ovvero realizzare dei cocktail premiscelati da poter distribuire ai locali in fusti e in lattine. Non solo un mercato casalingo, l’idea è proprio quella di arrivare ai professionisti del settore per velocizzare, standardizzare i risultati e far anche quadrare i conti economici. Paloma, Gin Mule, Gin Tonic e Hibiscus Americano sono alcuni dei cocktail nati dalla ricerca dei ragazzi in via Savona 1.
Bollicine, eleganza e i classici della miscelazione frizzante all’italiana sono la base dell’idea dell’imprenditore e bartender Giancarlo Mancino, che ha realizzato una linea di ready to drink dal nome Sei Bellissimi. Sei classici sparkling come Bellini, Puccini, Rossini, Mimosa, Tintoretto, Raspini, sempre più spesso lasciati nel dimenticatoio delle nostre abitudini, e riportati alla luce in maniera smart, contemporanea e originale. La bottiglia in questo caso è quella delle grandi occassioni, da champagne, da stappare con il botto. E siete subito al Cipriani, con l’odore della laguna a festeggiare qualcosa.
Articolo pubblicato su WU 109 (settembre 2021). Segui Martina su IG
Nella foto in alto: i cocktail pronti di Can or Kegs (COK) ideati da Domenico Carella
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