12H, LA PLAYLIST DEL 16 DICEMBRE
12H è una playlist con i pezzi più interessanti usciti negli ultimi giorni, perché ci sono sempre nuove e belle canzoni da ascoltare
di Carlotta Sisti
In una puntata delle terza stagione di Succession, che stavo aspettando da due anni, ovvero l’esatta percezione di durata dell’X Factor appena concluso, c’è una scena (una delle tante memorabili, che credo sia l’unica serie che debba essere guardata col quadernino per gli appunti) in cui Romulus detto Roman cerca di ricordare un momento carino trascorso insieme a suo padre. Lo deve fare perché la sua famiglia, a capo di un impero monetario i cui confini non sono visibili agli occhi, rischia di finire in merda per uno scandalo sessuale montato da suo fratello Kendall. Per arginare il disastro, tocca fare le interviste Mulino Bianco, ma il problema è che a Roman, di ricordi teneri passati insieme a papà Logan, non gliene vengono in mente, perché non esistono, e allora se ne inventa uno, o meglio, ne scippa uno all’altro fratello, quello maggiore, quello che fa la parte del rincoglionito. Ecco, in quell’assenza, in quel vuoto che può essere colmato solo con le bugie, c’è tantissimo di questo 2021. Che finisce tra una manciata di giorni, avendo fatto tutto sommato abbastanza schifo.
Meglio del precedente, direte, e che ci voleva, vi dico. Il 2020 ha avuto dalla sua lo shock, il dramma, il caos, la novità delle proibizioni in un’epoca del tutto è concesso, la dignità e la poetica per diventare oggetto di opere, narrazioni e riflessioni. Il 2021 ha promesso una ripartenza che non c’è stata davvero, ed è diventato l’anno deludente, quello che assomiglia al noi delle medie alle prese con le tavole di tecnica, che ogni volta pensavi avresti fatto ordinate e piacevoli alla vista, e ogni volta assomigliavano a un rigurgito. Il 2021 è stato senza identità, mezzo mascherato, mezzo smascherato, mezzo illusorio, mezzo “siamo punto e capo”, mezzo, questo sì, divertente, e poi di nuovo frustrante. Ci ha ridato Succession, è vero, ma pure il sopra citato X Factor peggiore della storia, così stanco, praticamente svenuto, esanime su un tappeto di retorica e noia, che verrebbe da augurarsi (non fosse che la speranza è già stata segata dal conduttore Tersigni con l’annuncio tremendo «da domani ripartono i casting») che gli venga inferto, come in UK, il colpo di grazia. La faccia di Emma che ci mancava solo sbirciasse l’orologio per capire quanto mancasse alla fine del supplizio, la poco credibile commozione di Manuelito (come la sua performance alla batteria), il pilota automatico di Mika, e lo sforzo di Agnelli di mandare avanti la baracca, sono una buona incarnazione del reale livello di fiducia nel fatto che si sia davvero ripartiti.
Il 2021 ci sta, forse, per ridare il Natale in formazione non più ridotta a quattro, salvo slittamenti in zone non più bianche che la Omicron è, appunto, già lì, pennello in mano, pronta a pittare. Per alcuni è una bella notizia, che vive insieme allo spettro del non se ne fa più niente, per altri è un incubo che ritorna, sta di fatto che è sempre l’essere un gradissimo “forse” la caratteristica di quest’anno antipatico, che non fa che far crescere le aspettative sul prossimo, che ha quell’estetica così piacevole, 2022, che finiremo col cascarci di nuovo, nel rifiuto della rassegnazione. Anche perché a Sanremo, Amedeo ci ha piazzato Blanco in coppia con Mahmood, e allora come si fa ad arrendersi al pessimismo.
Ma non è questo, nonostante questa intro ne abbia tutte le sembianze, il 12H dove facciamo il recap delle cose musicali migliori (queste sì, mica poche) del 2021, per quello ci si sente la settimana prossima, quella da tremori e pianti pre natalizi, quindi ecco le uscite più belle di questa settimana, baciata in fronte dalle due nuove puntate della serie più bella della storia.
IL RISVEGLIO: ‘TIRO’ DI ARCA
La musica di Arca si rifiuta di essere definibile, incasellabile. Fin dall’inizio, ha prosperato sulla sua intrattabilità. Il musicista elettronico ha inanellato uno sconcertante assemblaggio di ritmi e trame labirintiche, dal 2013 a oggi. Con @@@@@ del 2020, ha tracciato un percorso ancora più tortuoso, attraverso un collage a traccia singola lungo più di un’ora. Nello stesso anno, ha usato un’intelligenza artificiale per generare 100 versioni della sua canzone Riquiquí. È passata da astrazioni amebiche a esperimenti da club spintissime, da arie tenere al reggaeton rivestito di kevlar, a volte nel corso dello stesso album. Parla del suo lavoro in termini di stati quantistici; una donna trans orgogliosamente non binaria, che celebra la propria molteplicità e, come artista, si crogiola nel diritto di non dover scegliere. I quattro nuovi album, pubblicati in quattro giorni consecutivi tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, che con i loro titoli mandano ai pazzi i poveri recensori musicali, KICK ii, KicK iii, kick iiii, kiCK iiiii, offrono un’immagine tentacolare e multidimensionale di quel tutto. Proprio come KiCk, che ha coinciso con il suo coming out come transgender, questi album arricchiscono la storia del suo divenire, in tutta la sua complessità. Forse il modo migliore per avvicinarsi alla serie di cinque volumi è farlo come fosse un’unica playlist con tutte le 59 tracce in ordine casuale: un percorso, di nuovo, labirintico che non obbedisce a nessuna logica se non alla propria, in un perpetuo processo di scoperta. Mentre canta in Whoresong, rendendosi conto che «tutto ciò che aveva era proprio lì dentro di lei», Arca ha cristallizzato una nuova capacità: “«Incontrare l’ignoto più e più volte / Una sete di sangue per la bellezza». Questa Tiro, scelta per un risveglio famelico, cattura l’attenzione degli ascoltatori con toni troncati, spezzati: «Tacones negros, falda beige/Labios rojos, mira, mírame» («Tacchi neri, vestito beige/Labbra rosse, guarda, guardami»), con quello snocciolare toponimi venezuelani, come se potesse sconvolgere la geopolitica nord/sud con la pura forza del suo magnetismo sessuale. L’eccesso, di fatto, è il punto: per Arca, parte del riconoscere “l’alieno dentro” è abbracciare tutte le parti di se stessa, “unire più mostri” in un’unione instabile. E buongiorno, buon viaggio.
LA PAUSA CAFFÈ: ‘IL MIGLIORE’ DI ICH.BIN.BOB
Non c’è poetica, nella politica di oggi. Non c’è tempo, non c’è spazio, direbbe il poeta. Ma ce n’è stato nel secolo scorso, in pochi momenti preziosi che hanno un sapore dolce e antico. IchBinBob, producer bolognese che sforna musica elettronica beat based dal sapore analogico, aveva voglia di ricordare un momento un po’ magico della storia d’Italia, e con questo singolo Il Migliore, ha omaggiato, con echi vagamente Offlaga-disco-paxiani, Togliatti, uno dei nostri padri costituenti, e membro fondatore del Partito Comunista Italiano. In un remix in salsa italo disco, IchBinBob fa risplendere il discorso sulle api, metafora ripresa da Virgilio e pronunciata in occasione delle elezioni del 1963, ed è tutto molto nostalgico, giustamente nostalgico.
PRANZO: ‘SUI MURI’ DI PSICOLOGI
Ma come fanno, questi 2001, a scrivere in un modo così potente da riuscire ad aggrovigliare le viscere anche a chi potrebbe essere loro padre/madre, come. Sui muri di Psicologi è un pezzo che Cremonini scipperebbe volentieri, che Elisa canterebbe senza imbarazzo, ma che riesce lo stesso ad essere profondamente generazionale. Il pianoforte e l’amore non opacizzano una canzone che ci rimette tutti a cavalcioni sui muretti, con una 66 in mano, a farci prendere senza vergogna da tutto lo struggimento del mondo.
APERITIVO: ‘BAD NEWS’ DI JULIELLE E ‘1984’ DI I’M NOT A BLONDE
Julielle ha una di quelle voci che sono pura goduria. Al punto che anche un ascolto inizialmente distratto, diventa lucido e attento, appena questa giovane artista pugliese attacca a cantare. La sua Bad News ha vibrazioni inizialmente scure, che poi man mano galoppano verso mood che sfiorano il clubbing, e a tenere assieme il racconto che è un crescendo di energia, c’è un dosaggio giustissimo di elementi sonori diversi che non si calpestano mai. Chiara Castello e Camilla Matley, duo rodatissimo delle I’m Not a Blonde, confermano la loro sintonia, anzi la loro solida amicizia con gli angoli bui del nostro animo. Le cose che facciamo nell’ombra, sono oggetto primo del loro interesse, delle loro ispirazioni, e il linguaggio per decifrarle è sempre quello irrequieto dell’electropop. 1984 è un elogio, una pacca sulla spalla alle tenebre interiori che ognuno di noi ha, ma fatica a mostrare. Come raccontano loro stesse «c’è bisogno del buio per vedere la luce, e serve la luce per scoprire le sfumature».
PRIMA DI ANDARE A DORMIRE: ‘FAULTLINE’ DI GIRLPOOL E ‘TO BE LOVED’ DI ADELE
Ogni parola che Harmony Tividad canta nel nuovo singolo dei Girlpool, Faultline è cristallina, il valzer ondeggiante dietro di lei offre un’eleganza che non si azzarda, a mettere mai in ombra la sua posizione “ai margini della solitudine e della speranza”. I versi e i ritornelli si susseguono l’uno nell’altro come poesia, ognuno più trafitto e sanguinante dell’ultimo, perché, come spiegano Harmony Tividad e Avery Tucker, «Faultline rappresenta tutto ciò che fai come mezzo di fuga che ti spinge ancora di più fra le braccia di ciò da cui stai scappando». Persino per gli standard di Adele il grado di vulnerabilità di To Be Loved, la penultima traccia del suo nuovo album 30, non ha eguali. Originariamente concepita come una spiegazione matura al figlio riguardo il suo divorzio, To Be Loved è una canzone così straziante che nemmeno Adele può contrastarla; ha lasciato la stanza quando l’ha ascoltata registrata e ha promesso di non farla mai dal vivo. È evidente che la posta in gioco è per Adele più alta di quanto non sia mai stata prima. «Essere amati e amare al massimo/significa perdere tutte le cose senza le quali non posso vivere», canta. Lo scarno pianoforte di Jesso Jr. arriva dopo che Adele ha finito le sue parole, conferendo alla sua performance vocale un’intensità più brillante e una chiarezza ancora più netta. Sul finale, d’improvviso ci ricordiamo che Adele è qui per far sapere a suo figlio quanto sia difficile la separazione è, quando, concludendo, afferma: «Fai sapere che ci ho provato».
BONUS INSONNIA: ‘EMBRYO’ DI JLIN
Il gruppo di musica classica contemporanea vincitore di un Grammy ci regala questa raffica di poliritmi matematici a velocità pericolosa di Embryo, che si muove a un ritmo così frenetico da sfidare anche le mani umane più agili. Se c’è un principio unificante del lavoro dei Jlin, è l’elemento sorpresa; la musica si espande e si contrae, colpisce e cede, saltando dentro e fuori dal cilindro del cappellaio matto. In Embryo, un synth simile a un insetto funge da voce della traccia, guidandoci attraverso ogni momento: è un ronzio sincopato, croccante che poi schizza nello spazio, e infine si piega con l’arrivo di un gemito mostruoso, che emerge al terzo minuto, e ci fa sentire a disagio ma innegabilmente eccitati.
Nella foto in alto: Psicologi, foto di Amedeo Zancanella
La playlist 12H di WU curata da Carlotta la trovate anche su Spotify, qui sotto il player
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