ALESSIO BERTALLOT – NUOVE FREQUENZE UNIVERSALI
Per anni voce di un programma radiofonico cult chiamato B Side, oggi per lui il lato b della musica è una categoria dello spirito, un punto d’osservazione protetto da cui “misurare” le continue trasformazioni del mondo
di Marco Torcasio
C’è una comunità invisibile che non si è scollegata dalla musica e dalla ricerca di novità neppure durante la pandemia. È vero, i suoni del tempo presente passano attraverso canali di fruizione nuovi – podcast, playlist, stazioni digitali – che rendono sempre meno universale l’esperienza d’ascolto. Ma c’è chi non teme il progresso tecnologico perché sa come trasformarlo in argine per contrastare l’intossicazione da “click” che oggi avvelena l’utenza. Sono moltissimi i dj che con il loro lavoro stanno ancora veicolando cultura e tra questi c’è Alessio Bertallot, dj, speaker e direttore artistico di Radio Mercato Centrale.
Dagli esordi come musicista a oggi il tuo percorso di crescita è stato sempre coerente o ci sono state deviazioni inaspettate?
Ho esordito come cantante e musicista in un periodo storico in cui stava esplodendo il rap italiano. Avevo già avuto una precedente esperienza in radio quando mi è si è presentata l’opportunità di fare un programma importante su Radio Deejay. Mi è sempre piaciuto divulgare la musica, farla ascoltare a prescindere dal fatto che la facessi io o fosse musica di altri. Ho scelto quindi di lasciarmi trasportare e dopo l’esperienza con Radio Deejay, durata fino al 2015, ho dato vita a un programma sperimentale contemporaneamente su Rai2 e Rai5 utilizzando il web. Inizialmente l’idea era quella di portare internet nella radio, ma poi ho preferito fare esattamente il contrario, portare cioè la radio nella rete con la produzione di podcast.
Hai scoperto i podcast prima che diventassero mainstream?
Ho sentito per la prima volta le parole “radio on demand” – fruibile cioè al di là del- la sua prima emissione – dal direttore del reparto internet di Radio Deejay nel 1998. Già ai tempi avevamo intuito che la radio si sarebbe trasformata profondamente negli anni a venire. E così è stato. Gli ascolti dell’on demand continuano a crescere e stanno tracciando la strada verso il futuro.
Guardando in prospettiva, come sarà questo futuro?
Difficile dirlo. La tecnologia ha fornito possibilità nuove ma, contemporaneamente, ha creato quella che James Hillman ha definito «un’enorme intossicazione ermetica». Un concetto che ha radici antiche nella mitologia. Il dio Ermes, o Mercurio per i latini, padre della comunicazione e dell’informazione, degli scambi commerciali e della velocità – in altre parole di internet – ha disseminato di contenuti la nostra vita e il nostro tempo, ma i richiami cominciano a essere troppi. Troppi contenuti potenzialmente accessibili a fronte di una capacità di analisi e assorbimento invariata. Quindi, se da una parte abbiamo gli strumenti per conoscere le cose con più facilità, dall’altra paghiamo il prezzo di una comunicazione aperta a tutti che ha creato un oceano in cui è dura riuscire a orientarsi e navigare.
In passato era più facile?
Dieci-quindici anni fa i media, stampa e radio in particolare, reggevano bene perché erano degli opinion leader. Oggi non esistono più fenomeni forti come quelli degli anni Novanta, o meglio, esistono ancora ma non ci sono più palcoscenici univoci, vissuti cioè in maniera collettiva. Siamo tutti un po’ più isolati perché non sappiamo che anche qualcun altro ha vissuto la nostra stessa esperienza d’ascolto. Nonostante i grandi numeri che ritroviamo nei click di Spotify o nei follower di Instagram, è venuta a mancare un’esperienza collettiva e al suo posto hanno preso vita tante piccole esperienze semi-collettive. Questo fa sì che ognuno viva nella sua bolla.
Chi fa parte come te del dialogo che ruolo ha?
Fa da filtro, un po’ come un’ostrica, organismo fondamentale nel mantenimento di un dato equilibrio ambientale.
Nel tuo lavoro di “filtraggio” e selezione da quali elementi ti lasci conquistare?
In primis da una capacità di scrittura importante. Quando riscontro una profondità che non sia fashionable mi fermo ad ascoltare volentieri.
Quali artisti ti hanno accompagnato nell’ascolto e nella vita?
Il primo che mi viene in mente è Brian Eno, musicista, filosofo, intellettuale. Poi Bob Dylan, forse perché lo ricollego ai tempi in cui iniziavo a suonare la chitarra. Ma anche i De La Soul e I Run DMC che hanno cristallizzato in me l’idea che si potesse usare il rap come linguaggio.
Oggi sei direttore artistico di Radio Mercato Centrale, di che cosa si tratta?
Il mercato è un luogo dove si può ascoltare tanta buona musica e dove nascono pensieri che si fanno progetti pronti a prendere forma e a evolversi nel tempo. È una radio ma non è soltanto una radio, bensì un luogo in cui fare cose non specificatamente radiofoniche. È un laboratorio partito da una collaborazione inedita con Maurizio Galimberti. Il suo metodo di manipolazione dell’immagine ha infatti molti punti di contatto con il campionamento, la riproduzione e la variazione dei suoni in serie. Per raccontare questa simmetria creativa è nata un’installazione so- nora, Duomo Gotico Pungente, un mosaico non solo visivo ma fatto anche di suoni e rumori urbani di Milano. L’opera è stata l’atto primo, ma Radio Mercato Centrale continuerà a essere una scatola delle idee, un contenitore di poesia, musica, foto- grafia, letteratura…
Che ne è del progetto “Casa Bertallot”?
Viaggia in parallelo. Dopo infinite sperimentazioni e un’esperienza come direttore artistico di TIMmusic, ho deciso di iniziare a pubblicare regolarmente i podcast di Casa Bertallot su Patreon.
Chi ti segue riscopre nelle tue scelte musicali una notevole dose di partecipazione emotiva. Sei un dj empatico?
Non si può salire su un palcoscenico e voltarsi di spalle, se non per provocazione. Quella per la musica per me non è una passione, ma una sorta di dannazione che mi spinge a trasferire all’esterno i sentimenti e le emozioni che provo.
Nella foto in alto: Alessio Bertallot
Alessio Bertallot su IG
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