ODE ALLA MERENDA
Un rito di popolo che per molti di noi profuma di ricordi e infanzia. Più freak dello snack, più appagante dell’aperitivo, la merenda sta tornando a essere parte della routine culinaria anche degli adulti
di Martina Di Iorio
In principio era quella porzione di tempo ritagliata nella prima metà del pomeriggio. Quel lasso di tempo che, prima dell’invenzione dello slow life, prima dell’avvento dell’iper narrazione e spettacolarizzazione del cibo, era il momento intimo per eccellenza, a cavallo tra una dimensione prettamente familiare e ristretta. La merenda, infatti, è quel rito che fa scattare immediatamente il nesso con l’infanzia, con i ricordi più stretti, e che – vuoi o non vuoi – appartiene a un preciso momento della nostra vita. Perché poi succede quella cosa che nessuno alla fine si augura: gli anni passano e quel momento, chiaro e limpido nella memoria, viene ingoiato dalle fauci di quel tiranno che va sotto il nome di tempo, fatto di impegni e agende fitte che non lasciano spazio a un rito come questo. Gli anni si trasformano, e la merenda con essi.
Da focacce imbottite, bicchieri di latte stracolmi, fette di pane con olio e sale, anche la merenda del nuovo millennio è cambiata radicalmente trasformandosi in atto fugace e clandestino. Il problema è anche semantico, senza scomodare i puristi della lingua italiana: infatti in un mondo dominato dallo snack – invece che dalla merenda – ci siamo fatti sfuggire una buona dose di sano romanticismo dal sapore nazional-popolare. Per non parlare delle nuove abitudini composte da frutta secca dalla dubbia provenienza, bibitoni energetici, yogurt proteici, che oggi popolano gli scaffali dei supermercati e compongono il roster delle nuove abominevoli tendenze in fatto di merenda. Che poi venga consumata davanti al computer e senza alcuna poesia, è ormai un fatto appurato.
Se ci fermiamo un attimo a pensare, poi, possiamo considerare la merenda come l’antenato del più attuale aperitivo, quel momento che precedeva la cena e che spezzava la routine quotidiana. Ovviamente di origini umili e contadine, come la merenda sinoira, antico rito popolare che viene dal Piemonte. Un pasto freddo, frugale, che già nel nome lo ricorda in quanto sina, in dialetto piemontese, vuol dire proprio cena. Non a caso i contadini, per ristorarsi dal lavoro agricolo, portavano con sé dei fazzoletti con pane, formaggio, salame, frittata, e vino ovviamente. Un rito che si è evoluto, tramandato, modificato e sicuramente imborghesito con il passare del tempo, mantenendo comunque una propria forte radice nel popolo e per il popolo.
Sembra esserci però una luce alla fine del tunnel tirannico che ci vuole impuniti consumatori di prodotti senza anima. Il rito della merenda, infatti, sta avendo negli ultimi tempi una riscossa degna di nota. Complice lo smart working, che ha anticipato gli orari di tutti gli italiani, spostando anche quello della cena stessa, ora sembriamo tutti più propensi a rispolverare questo antico – ma profondamente radicato in noi – rito della merenda.
Tante infatti sono le ricette che stanno tornando in auge, eredi longeve di quel mondo un po’ appannato, e che si prestano a essere consumate a metà strada tra il pranzo e la cena. Basti pensare a tutta la (ri)fioritura di piatti regionali nati proprio a questo scopo: come il chichì ripieno, di origine marchigiana, una focaccia farcita con tonno e sottaceti da gustare in ogni momento. Oppure le ricette di tradizione napoletana: come il casatiello, un must anche fuori dal suo consueto utilizzo pasquale, tor- nato alla ribalta proprio grazie alla riscoperta di una generazione attenta ai piatti dimenticati o rilegati solo esclusivamente a una regione o un periodo dell’anno. Si pensi anche al castagnaccio, tipico della tradizione toscana, dolce autunnale a base di farina di castagne, pinoli, uvetta, noci, caposaldo della merenda di un tempo.
Che dire, poi, dell’esercito di panificatori casalinghi che siamo diventati: la pandemia (quasi) alle spalle ha fatto riemergere in buona parte della popolazione una strana passione e sopita propensione per impasti, lievitati e dolci casalinghi. Quindi ecco spuntare torte della nonna, morbidi tranci zuccherini e ciambelloni alle mele, perfetti per spezzare la giornata in vecchio stile e, perché no, evocare cari ricordi di infanzia. E di esempi così se ne potrebbero fare a bizzeffe, partendo dal nord dello stivale e arrivando fino alle isole, concentrati di veracità, vecchi saperi in formato edibile, pillole di Italia masticabili e finalmente con una propria dignità che va ben oltre il concetto di “casalingo”.
La merenda, che sia ben chiaro, non è mai sparita ma semplicemente edulcorata e trasformata, è viva come mai e torna a reintrodursi nelle abitudini di ogni fascia d’età. Una riscoperta puntale e precisa, grazie anche ai nuovi ristoratori che si fanno più attenti a conservare e catapultare in una nuova era questi piccoli ma grandi riti tutti nostrani.
Articolo pubblicato su WU 116 (ottobre – novembre 2022)
Nella foto in alto: il chichì ripieno, photo courtesy Tursimo Marche
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