GINEVRA – APRIRSI NELLA MUSICA
La giovane artista torinese è fresca di uscita del suo nuovo disco. Dodici tracce capaci di lanciare l’ascoltatore in un viaggio intimo e potente, in cui elettronica dall’imprinting britannico e pop cantautorale si combinano dando forma a un sound curato e mai banale
di Giulia Zanichelli
Proprio come quei Diamanti che danno il titolo al suo album uscito da poco per Asian Fake, il mondo di musica e parole di Ginevra è un caleidoscopio di sfumature che racchiude momenti di speranza e di positività così come altri di fragilità e di ricerca. Circondata della sua “famiglia” musicale, in primis il suo produttore di sempre Francesco Fugazza che l’ha affiancata nella direzione artistica, Ginevra con coraggio ci ha aperto le porte della sua musica, che poi sono anche quelle del suo cuore.
Diamanti è la title track, e anche la prima canzone che hai scritto dell’album. Perché secondo te era quella la canzone giusta come titolo?Non l’ho capito subito ma nel tempo, dopo aver scritto tutto il disco. Nel momento della scelta del titolo ho percepito che era giusto fosse lei: è un pezzo già presente da tempo nel mio repertorio e non vedevo l’ora che uscisse, ha una forza tutta sua. Mi rimanda alle sfaccettature del diamante, che ha tanti lati e si illumina in base a come lo giri: mi piaceva l’idea di raccontare il disco come una pietra grezza fatta di tante sfaccettature, con tanti piccoli colori.
Diamanti è un viaggio di crescita personale, di evoluzione e accettazione di queste sfaccettature di cui parli. Quanto è stato difficile esporti in modo così intimo?
Per me è stato abbastanza naturale, ho sempre utilizzato le canzoni come una valvola di sfogo. È complicato, ma perché è complicato raccontarsi in generale. Aprirmi nella musica, comunque, è la cosa che mi viene più naturale. Considero solo dopo il fatto che qualcuno possa sentire le canzoni e si possa immedesimare. Quindi il mio segreto è non pensare (ride, NdR): non pensare che quello che scrivo sarà ascoltato da tutti, giudicato, che tutti possano sapere i fatti miei. Nel tempo poi ho capito che la sincerità che metto nello scrivere mi restituisce tanto indietro, arriva molto di più.
Questo desiderio di apertura è dietro anche alla scelta di passare dall’inglese all’italiano?
Sì, assolutamente. A un certo punto ho avvertito il bisogno di annullare ogni filtro e riuscire a essere il più sincera possibile, prima di tutto con me stessa, tirando fuori tutto quello che penso: l’inglese non mi bastava più.
Per creare questo album ti sei circondata di collaboratori che sono prima di tutto amici: da Arashi a Mahmood ai Fugazza… Quanto è stato importante questo team?
È stato fondamentale. Sono molto stimolata dal lavorare con gli altri, soprat- tutto con artisti con cui ho un rapporto solido: penso sia più difficile mantenere un certo tipo di apertura, sincerità e assenza di filtri con una persona che non conosci. Quindi è stato importantissimo averli con me, oltre al fatto che mi rende proprio felice che il mio primo disco sia fatto “in famiglia”. Non c’è nulla di asettico o impersonale, è tutto “vero”.
Torino è la tua città e le hai dedicato una traccia.
Sono molto legata a Torino. E sono grata a questa canzone che mi ha permesso di creare un legame “ufficiale” tra me e la città. Oggi mi interessa moltissimo stabilire un contatto con il panorama musicale torinese e mantenerlo il più vivo possibile, ma all’inizio ho avuto bisogno di staccarmi e cercare la mia identità, respirare aria fresca. Per questo mi sono trasferita a studiare a Milano, dove vivo da dieci anni. Proprio grazie all’accademia che ho frequentato ho stretto relazioni con persone con cui collaboro tuttora, da Mahmood a Francesco Fu- gazza. È stato bello costruire un nuovo piccolo nido e capire musicalmente che cosa volevo fare. Mi piace avere due legami speciali con queste città, una “di sangue” e una di adozione.
Cigno chiude il disco: può essere considerata come un riassunto di quanto esplicitato nelle altre canzoni, e lancia un messaggio di speranza…
È una canzone molto importante per me, per un periodo ho anche pensato di chiamare il disco così! Ma sono contenta che sia alla fine del viaggio, mi sembra che apra la porta di un’altra dimensione, che lanci nuove opportunità.
«Meglio stanchi morti che vivi nell’ombra, meglio essere noi stessi che fingerci nulla», canti in Anarchici. Penso possa essere un inno generazionale, questa frase.
Spero che possa essere interpretata così! Nel mio piccolo, vedo che le persone che mi seguono sono molto affezionate a questo testo. È una delle canzoni più importanti del disco, è quella con cui chiudo i live, spero che dia un messaggio forte e di speranza. Ultimamente ci sono tanti momenti in cui parlo alla prima persona plurale, mi sento parte di questa generazione. Quando l’ho scritta mi stavano strette tante cose e ho cercato di raccontarle a modo mio. Spero che sia un manifesto del progetto, un invito a seguire la propria inclinazione e la propria voglia di libertà, a fregarsene a volte di quello che si dovrebbe fare, di quello sarebbe più giusto fare secondo il canone.
In Italia secondo te continua a esistere un problema di genere nel mondo della musica?
Questa domanda è sempre molto complicata, ci sono tanti fattori e variabili in gioco. Sicuramente c’è un problema: ho da poco guardato la classifica della diffusione della musica italiana all’estero e non c’è neanche un’artista donna. Questo mi lascia abbastanza perplessa. Mi sembra che alcune cose siano mi- gliorate, rispetto ad anni fa ci sono molti più progetti femminili, ma c’è ancora molto da fare.
Intervista pubblicata su WU 118 (marzo 2023)
Ginevra su IG
Dello stesso autore
Giulia Zanichelli
INTERVIEWS | 21 Marzo 2024
L’OFFICINA DELLA CAMOMILLA – DOLCEZZA DEVIATA
INTERVIEWS | 21 Dicembre 2023
MOTTA – FINIRE PER RICOMINCIARE
INTERVIEWS | 22 Dicembre 2022
COMA COSE – CAMBIARE È NEL NOSTRO DNA
INTERVIEWS | 3 Novembre 2022
EMMA NOLDE – ALLENARSI ALLA MUSICA
INTERVIEWS | 5 Maggio 2022
CERI – SENZA REGOLE