DAVIDE BARCO – SPORTS, ILLUSTRATED
Nel corso degli anni si è costruito una carriera unendo l’illustrazione alla passione per lo sport, riuscendo a realizzare lavori per alcuni dei più importanti player editoriali e non. E lo ha fatto senza mai annoiarsi…
di Enrico S. Benincasa
«Tutto bene, che quasi va male… È un inizio anno più denso di lavoro rispetto a quanto mi aspettassi»: inizia così la nostra chiacchierata con Davide Barco, illustratore italiano che, come recita il payoff presente sulla sua firma, fa “not only sport illustrations, but mostly”. L’inglese qui è d’obbligo perché i più importanti lavori di Davide sono usciti per testate come ESPN, CBS Sports, “The Wall Street Journal” e “The New York Times”, ma anche per brand come adidas e Nike. L’attenzione è arrivata prima dall’estero, com’è successo anche ad altri suoi colleghi (a questo proposito, recuperatevi il suo TED su come ci è riuscito). Iniziamo però dalla molla che ha innescato tutto, cioè la passione.
Qual è il tuo rapporto con lo sport?
Mi piacciono quasi tutti gli sport e, penso si possa capire dai miei lavori, ho una predilezione per il basket NBA. Ho giocato a pallacanestro fino alla serie C e gioco tuttora, a livello amatoriale. Mi piace lo sport anche come argomento perché al suo interno c’è tutto: intrattenimento, le grandi storie, i grandi drammi… È un ambito che non mi annoia mai. Quando devo fare diverse tavole per uno stesso tema, per esempio le finali NBA, cerco sempre di non ripetermi affrontando la cosa da punti di vista differenti ed evitando la pura celebrazione.
Di sport si parla e si scrive tanto, c’è, diciamo, un’ipernarrazione di tutto ciò che lo riguarda. È un vantaggio o un limite per chi fa il tuo lavoro?
Non penso sia un limite. Le parole sono sempre evocative di immagini e il fatto che un argomento sia stato trattato da più punti di vista può essere d’aiuto. Nel caso di una commissione editoriale, non posso fare a meno di leggere l’articolo per cercare di trovare un punto di entrata diverso rispetto a quanto è stato scritto. Poi molto dipende dalle tempistiche, quando i tempi sono stretti non si può approcciare l’illustrazione setacciando tutto quello che è stato scritto su un tema.
Domanda che non si può non fare a ogni illustratore italiano che lavora con l’estero: che differenze ci sono tra una realtà come quella USA e quella del nostro Paese?
In Italia la carriera da illustratore, soprattutto all’inizio, è potenzialmente una carriera “da disoccupato”. Si comincia creandosi una sorta di personal brand e provando a farsi conoscere, ma rimane tanto “tempo libero” fino a quando non ingrani. Io ho iniziato non prestissimo, a 28 anni, alternando l’attività di art director in pubblicità a quella di illustratore. I miei primi lavori importanti sono usciti tutti all’estero e, oggi, nonostante abbia lavorato con colossi del settore sport, non ho ancora fatto nulla con i grandi giornali italiani di quest’area. Nel 2016 ho lavorato per le finali NBA e, solo dopo quell’esperienza, sono stato chiamato dalla nazionale di basket in seguito a un articolo su di me pubblicato sul sito della Gazzetta. In generale, in Italia, un illustratore lavora dopo aver fatto prima qualcosa all’estero. Siamo rimasti noi e i ricercatori universitari in questa situazione (ride, NdR).
Qual è il rapporto della stampa sportiva italiana con l’illustrazione?
In Italia, se parliamo di sport, a parte qualche realtà alternativa e indipendente, che prova a fare una narrazione diversa da quella classica, l’illustrazione si è limitata alla rappresentazione del gol o alla caricatura dell’atleta. Negli altri ambiti c’è un utilizzo dell’illustrazione “adulta”, volta a far capire un concetto. Non c’è al momento la voglia di dare uno spunto in più, forse ci si nasconde dietro il fatto che i lettori potrebbero non capire, ma se non provi a fare qualcosa di diverso non saprai mai se è realmente così.
Sono forse strade considerate più semplici e veloci. Alla fine, nei quotidiani, ogni giorno c’è una prima pagina che cancella quella precedente…
La figura del fruitore del giornale sportivo è molto stereotipata. Quando si devono fare prime pagine per la vittoria di un trofeo o per ricordare un grande atleta scomparso, quelle che conservi insomma, si usano collage di foto, spesso bellissime ma già viste. Sono convinto che se venisse data un’opportunità all’illustrazione non ci sarebbero venti di protesta, anzi, forse arriverebbe una risposta migliore. È curioso come sui titoli si sperimenti molto, ma non si fa altrettanto sulla parte visiva. Certo, la breaking news ha tempi ristretti, ma all’estero c’è lo stesso problema e non è una via scartata a priori.
Ci sono degli illustratori, “sportivi” e non, che ti piacciono particolarmente?
Nel mio computer ho cartelle piene di lavori di illustratori. Le ho sin da quando ero un art director, sono sempre stata una reference importante e non mancavo mai di sottoporre questa opzione quando mi trovavo a proporre idee per una campagna. Ho sempre avuto una sorta di timore reverenziale nei confronti della professione e dei professionisti di questo settore, soprattutto per chi ha studiato tanto e lavora da anni con questo mezzo. All’inizio ho cercato di parlare con tanti di loro per chiedere consigli: c’è chi mi ha suggerito di spaziare e chi di specia-izzarmi. Alla fine ho scelto la seconda strada perché lo sport mi ha sempre dato quella spinta in più tanto che, quando vedevo anche solo una gesto atletico che mi colpiva, mi veniva voglia di sottolinearlo con un’illustrazione. Per rimanere solo in ambito italiano, non posso non citare Francesco Poroli, che faceva l’art di Rivista Ufficiale NBA, che ho “tampinato” non poco per uscire su quel magazine; Riccardo Guasco mi è sempre piaciuto molto, lo considero un maestro; Mauro Gatti, che ha uno stile molto basic ma per me è fenomenale; e poi Emiliano Ponzi e Shout, ma sicuramente ne sto dimenticando qualcuno quindi mi fermo qui.
Ci sono progetti particolari a cui sta lavorando?
Sto lavorando a un sacco di cose in questo periodo, alcune delle quali anche molto grosse e di cui non posso dire molto ancora. Per il 2023, visto l’anno, avevo in mente di fare qualcosa dedicato a Michael Jordan. Pensavo in particolare a una mostra, ma incastrare un progetto del genere in mezzo al tanto lavoro che ho in questo momento è veramente difficile. Vedremo.
Intervista pubblicata su WU 118 (febbraio – marzo 2023)
Davide Barco su IG
Nella foto in alto: Davide Barco
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