BIENNALE 80 – POOR THINGS
Il greco Yorgos Lanthimos partecipa al Concorso ufficiale con il suo ultimo lavoro statunitense, che vede Emma Stone protagonista assoluta nei panni di Bella Baxter, donna-esperimento di un folle scienziato che ne ha scambiato il cervello con quello di un neonato
di Davide Colli
Cinque anni dopo La Favorita, Lanthimos con Poor Things era atteso al varco: il successo del primo in termini di critica, pubblico e premi è stato tale da riuscire a raggiungere l’attenzione di un pubblico estremamente vasto, inserendosi in quel manipolo di autori stranieri pupilli dell’industria hollywoodiana.
Se con La Favorita si avvertiva un forte senso di compromesso e limitazione, che ha portato a poco altro che uno spassoso triello di attrici a corte, Poor Things sembra il suo primo vero lavoro di produzione a stelle e strisce a ritrovare una propria ragion d’essere, una motivazione per definirsi un tassello importante nella filmografia del regista, in un delicato equilibrio tra rottura e fiera appartenenza al sistema.
Con questo film Lanthimos si guarda sì addietro nel suo cinema, recuperando, ad esempio, la tematica della “famiglia come prigione”, fulcro di Kynodontas, ma anche il gusto del worldbuilding distopico di The Lobster, declinandolo al fantasy e spostandosi in territori vicini allo sguardo di Terry Gilliam e del Tim Burton più disfattista.
In questa divertita satira si sovverte ancora una volta l’archetipo di Pinocchio, nonché quello ancora più immediato del mostro di Frankenstein, attraverso la Bella Baxter di Emma Stone, bambola al servizio del regista, nonché mattatrice in un one man show di urla e versi di ogni tipologia. Portando sullo schermo un involucro vuoto, in trepidante attesa che il mondo imprima la sua impronta su di esso, Lanthimos non risparmia alcun bersaglio da attaccare attraverso lo sguardo innocente della sua protagonista, il quale, col passare dei minuti, diventa sempre più smaliziato.
In un mondo di insidie, ingiustizie e di uomini morbosamente dipendenti dal gentil sesso, la soluzione rimane quella di uscire dal propria prigione stereotipica, eretta dalle convenzioni sociali, per plasmare un proprio inedito e complesso costrutto identitario, risultato possibile solo attraverso l’esperienza del mondo. Che sia il nostro o la sgargiante fantasia iper saturata del film, Poor Things, come un recente blockbuster di rosa vestito, inneggia proprio a questi valori, interrogandosi sulle differenze che intercorrono tra creatura e creatore.
Nella foto in alto: Emma Stone in ‘Poor Things’
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Davide Colli
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