‘CONTEMPORARY ART & CULTURE IN APULIA’ DI SARA SCANDEREBECH
Sara Scanderebech ha concentrato il suo sguardo sui dettagli della regione in cui è nata e cresciuta, restituendone non solo i cromatismi visivi, ma anche i sapori, gli odori, i suoni e il tocco. Il risultato è un’operazione sinestetica che fa parte della sua autorialità, per una fotografia in grado insieme di indagare la realtà e creare nuovi immaginari, di trasformare oggetti animati e non in simboli e metafore incarnate e carnali
di Alessandra Lanza
Quando e come ti sei avvicinata alla fotografia?
Ho avuto la fortuna di nascere in un ambiente artistico: mia madre è un’insegnante di musica e mio padre ha sempre disegnato, dipinto, suonato e fotografato. Mio fratello è un appassionato di fantasy e videogiochi. In questo mix incredibile c’ero io. Fare arte è stato quasi naturale. Ho iniziato a prendere confidenza con la macchina fotografica solo dopo l’università, quando ho lavorato per la Galleria Carla Sozzani come fotografa interna. Ho poi collaborato con realtà culturali indipendenti come Macao, Standards e Buka. Qui fotografavo i concerti e i live, entravo nei backstage e stavo vicino agli artisti.
Che ruolo ha per te il colore?
Durante i miei studi artistici odiavo la fotografia. Non la concepivo come una vera forma d’arte, ma solo una mera tecnica di rappresentazione della realtà. Successivamente ho capito che è anche un modo per creare immagini e immaginari, quando ho cominciato a paragonarla alla pittura e al disegno ho trovato la mia chiave. Per questo il colore per me è fondamentale, a volte è l’unico modo di vedere la realtà in altri modi o trasmettere una sensazione specifica.
Le tue origini salentine hanno dato secondo te un imprinting particolare alla tua ricerca?
Credo di sì, anche se è difficile immaginarsi provenire da altri luoghi con una diversa sensibilità. In Salento è tutto fisico e carnale: lo scorrere lento ed immobile del tempo, la natura è aggressiva, fa quasi paura. La terra rossa spaccata, le pietre taglienti, le spine dei fichi d’india, delle agavi, delle piante di asparago, le spine dei ricci. Tutto ti penetra e, se sei fortunato, ti lascia qualcosa per sempre.
Si dice che il diavolo è nei dettagli: cos’altro c’è lì dentro?
Mi interessa indagare l’impalpabile relazione tra le cose, tra le persone e tra le cose e le persone. Indago in un microcosmo di riflessi e di forme organiche che diventano per un attimo elementi di un altro mondo, creando un’interferenza nella realtà materiale, fintamente ordinata e conosciuta. Spesso non mi interessa in sé il soggetto che sto fotografando, cerco solo di coglierne l’ambiguità e le emozioni che mi trasmette.
Che rapporto hai con la Puglia oggi?
È come in una relazione a distanza: ci amiamo, ma non possiamo stare a lungo accanto. Questo progetto fa parte di un percorso di riavvicinamento alla mia terra innescato qualche anno fa dalle ragazze di “Salgemma” (magazine che ha l’obiettivo di valorizzare il panorama artistico e culturale del territorio, NdR). Dopo tanti anni a Milano, quel sentimento di rigetto che avevo si è trasformato in attrazione. Nelle foto ci sono sentimenti contrastanti: la fiducia nei progetti e nelle realtà culturali scoperte durante la mappatura, ma anche la paura che l’immobilità caratteristica di questi luoghi alla fine abbia la meglio.
SARA SCANDEREBECH Nata nel 1985 a Nardò, in provincia di Lecce, è una fotografa e artista visiva di base a Milano. Ha studiato Arti Visive a Brera e oggi si muove tra arte, moda e design, attraverso collaborazioni con una serie di artisti, marchi e riviste.
Articolo pubblicato su WU 121 (giugno – luglio 2023)
Tutte le foto nella pagina sono di Sara Scanderebech