FABRIZIO DE LUCIA – SNEAKERS CAPITALE
È il creatore di Suede Store, “colonna” della scena sneakers di Roma, ma si è approcciato a questo mondo sin da ragazzo da diversi angoli di osservazione. Il suo punto di vista, oggi, è prezioso per capire come si muoverà il mercato nel prossimo futuro
di Elisa Scotti
Fabrizio De Lucia è romano, ha 39 anni e da 11 è il proprietario di Suede Store, una delle principali realtà di sneakers e streetwear della capitale. La sua passione per questo mondo nasce nell’adolescenza: «Con i soldi della comunione mi sono comprato le prime AM95 OG, in camera avevo i caps appesi come Willie Smith in The Fresh Prince of Bel Air», ci ha detto. Negli anni si è avvicinato alla materia intutte le esperienze che ha fatto, dal fotografo per le serate della night life romana all’editore di uno dei primi blog italiani dedicati allo streetwear. Grazie al suo percorso, alla passione e alla forza delle idee, ha colmato con Suede una lacuna nella sua città: uno store in grado di realizzare eventi, collaborazioni e release e in grado di creare una community attorno alla parola sneakers.
Come e quando nasce Suede Store? Come si è modificato nel tempo?Suede nasce nel 2012 ed è l’evoluzione di un precedente progetto del 2009, sempre legato al mondo sneakers, che però era troppo affiancato nella sua identità a Nike. Con Suede l’obiettivo è sempre stato quello di portare a Roma quel “DNA” tipico di un concept store come Colette a Parigi. Dal day one è una realtà proatti- va per la città: oltre a camp out e alle raffle, abbiamo organizzato mostre fotogra- fiche, book signing e dj set, una cosa non affatto scontata per Roma. La sua ultima evoluzione è rappresentata dal nuovo store di 100 metri quadri sempre nel Rione Monti, in cui c’è più spazio per abbigliamento e oggettistica.
Prima di Suede di cosa ti occupavi?
Il mio progetto più significativo è stato ProviderMag, il magazine online di sneakers aperto nel 2005 e andato avanti fino al 2012. Nato per gioco con l’obiettivo di raccontare la scena mondiale, alla fine diventò una delle testate di riferimento per l’Italia. È stato importante perché mi ha permesso di conoscere persone e di intervistare i miei miti, Nigo di Bape su tutti. La sua storia è terminata, purtroppo, per motivi economici. Un dispiacere enorme visto come, subito dopo, siano nati altri blog di successo. Oltre al magazine, ho lavorato come fotografo nella night life romana per diversi anni e ho portato avanti in maniera parallela i miei studi informatici specializzandomi nell’e-commerce. Oggi sto fondendo tutte le mie esperienze in Endless, la mia agenzia di consulenza nata con l’obiettivo di aiutare altre realtà in progetti di web marketing e non.
Hai collaborato con diversi brand. Quali sono stati i progetti più significativi?
Più che di collaborazioni, mi piace parlare di partnership. Con Endless abbiamo lavorato a progetti con adidas Originals, Saucony, Diadora e Reebok sfruttando Suede come “palcoscenico”, come per esempio l’evento realizzato con New Balance per il Black History Month o la game night per Diadora/Hasbro. Ho sempre cercato di coinvolgere artisti in queste iniziative e oggi, se penso a come sono cresciuti Domenico Romeo, la Dark Polo Gang, Il Tre, Jacopo De Carli e Barengo, per citarne alcuni, sono soddisfatto di quello che abbiamo fatto.
Come è cambiato il mondo del retail streetwear?
È cambiato in termini di experience del consumatore. Prima ci si affezionava alle insegne locali, ora la conoscenza arriva da una scrollata su Instagram o su Tik Tok. Molto spesso siamo più “porgitori” che storyteller, Questo è il problema principale del mercato retail: arrivare al cuore del consumatore e imporre la propria awareness. L’aspetto positivo, però, è che il numero di persone appassionate è sempre in aumento. C’è una nuova generazione di 16/18enni che sta scoprendo lo street game e un pubblico femminile in forte aumento.
Come pensi si evolverà il settore?
Tra gli addetti si parla di ritorno al contatto umano con il cliente. Credo che sia vero ma per pochi retail nel mondo, tra cui senz’altro vanno considerate diverse realtà italiane. La mia percezione è che, dopo la pandemia, le nuove generazioni escano meno di casa e preferiscano comprare outfit per il proprio avatar rispetto a un total look da mostrare in giro. Oggi si acquistano sempre di più capi vintage, ecosostenibili e unici, e chi fa retail deve essere pronto a cambiare e ad ascoltare le nuove tendenze ed è molto faticoso. Per quanto riguarda il futuro, sono convinto che si arriverà alla vendita in streaming.
Intervista pubblicata su WU 121 (settembre 2023)
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