CONNESSIONE IN CORSO
Elon Musk ha annunciato il primo innesto di un’interfaccia neurale da parte di Neuralink: che si tratti di un fuoco di paglia o della svolta nella convergenza fra umano e macchina, la notizia ha dato il via al dibattito sulle possibili conseguenze
di Marco Agustoni
«The first human received an implant from @Neuralink yesterday and is recovering well. Initial results show promising neuron spike detection». Con queste poche parole, lunedì 30 gennaio Elon Musk ha annunciato, sulla sua piattaforma social, X, il primo impianto dell’interfaccia neurale in studio da Neuralink su un essere umano. La notizia, in un certo senso, non è così eclatante: innanzitutto perché non abbiamo altre informazioni a riguardo, a parte lo stringato comunicato da parte di un personaggio le cui affermazioni già in passato sono state smentite a più riprese; in secondo luogo perché non si tratta della prima volta in cui un uomo si fa impiantare un’interfaccia cervello-computer (il pioniere, nell’ormai lontano 2004, fu Matt Nagle, reso tetraplegico da una coltellata che gli recise la spina dorsale e in grado, grazie all’impianto temporaneo dell’interfaccia BrainGate, di controllare il cursore di un mouse “con il pensiero”).
Quello annunciato da Musk è solo il primo passo di uno studio che, nelle previsioni attuali, dovrebbe durare almeno sei anni (senza contare che Neuralink ha già accumulato notevoli ritardi rispetto alla sua iniziale tabella di marcia e ha già fatto discutere per la brutta fine che avrebbero fatto molte delle scimmie da laboratorio utilizzate per la sperimentazione del dispositivo). Nonostante ciò, le sue parole hanno ricevuto un’eco mediatica eccezionale e hanno acceso il dibattito intorno alla convergenza fra umani e macchine. E per delle buone ragioni.
Quando c’è in ballo il magnate fondatore di SpaceX e CEO di Tesla, infatti, il confine fra sparate deliranti e intuizioni geniali si fa sempre molto labile, ragion per cui i suoi progetti, anche i più folli, non possono mai essere sottovalutati. Senza contare che il miliardario sudafricano ha a sua disposizione una “potenza di fuoco” economica quasi senza pari. E poi, qualunque cosa faccia quello che è uno dei personaggi più ammirati e al contempo più odiati al mondo, è inesorabilmente destinata a far parlare di sé. Nelle intenzioni di Musk, dopotutto, il traguardo finale di Neuralink è più che ambizioso: arrivare alla convergenza tra uomo e macchina, creando di fatto un’entità “altra”, distante anni luce da un semplice essere umano.
The first human received an implant from @Neuralink yesterday and is recovering well.
Initial results show promising neuron spike detection.
— Elon Musk (@elonmusk) January 29, 2024
Non a caso, Elon Musk ha scelto per il suo chip un nome, Telepathy, che rimanda a un potere sovrannaturale, quasi a suggerire che la sua creazione possa essere in grado di trasformare in supereroi. Il sogno bagnato di ogni transumanista, in sostanza. Un sogno che però è un incubo per i tanti secondo cui le nuove tecnologie sono destinate a trasformarsi in strumenti di controllo: da questo punto di vista, farsi impiantare un chip nel cervello è davvero una pessima idea. Sul breve, in ogni caso, gli obiettivi di Neuralink sono molto più moderati e soprattutto concreti: permettere alle persone tetraplegiche di controllare cursori, interfacce digitali e dispositivi elettronici attraverso il pensiero (nonostante alla voce “What’s Next” sul sito della compagnia accanto a questi propositi pratici si accenni a ben altre possibilità: “…e magari cambiare il nostro modo di esperire la realtà”). Un risultato che sarebbe già di per sé rivoluzionario. Ancora una volta: moderati successi in questa direzione sono già stati ottenuti nell’ambito di altri studi. Ma la società di Musk si propone di rendere queste interfacce molto più efficienti e facili da utilizzare nell’ambito della vita quotidiana.
Che sia questa, quindi, “l’ora x” della tanto agognata simbiosi fra esseri umani e tecnologia? Dopotutto, l’idea di “riprogettare” l’uomo con innesti artificiali ronza nell’immaginario collettivo da decenni, come dimostra uno dei personaggi cardine della produzione letteraria e cinematografica sci-fi, ovvero il cyborg. Essere metà uomo e metà macchina, questa figura incarna il desiderio carico di hybris di superare i limiti umani, guidare in prima persona il processo evolutivo e correggere il lavoro della Natura o di Dio, che dir si voglia. A ben vedere, la trasformazione è già cominciata da un pezzo: se ci pensiamo, anche solo una protesi, o una più umile capsula dentale, è uno strumento tecnologico che integriamo nel nostro corpo, al fine di migliorarlo. A cambiare, è la scala della trasformazione ottenuta.
La direzione, insomma, è già stata tracciata. E quando si tratta di progressi scientifici, qualcuno sostiene che “se si può fare, qualcuno lo farà”. Ha quindi senso opporsi al cambiamento in corso? O forse è più produttivo cercare di governarlo, in modo che risulti accettabile per ciò che siamo ora? Il che ci porta a un’altra domanda fondamentale: chi vogliamo che guidi questa rivoluzione? Un uomo solo al comando (un comando che nessuno gli ha assegnato e che deriva esclusiva- mente dalla sua disponibilità economica) oppure il dibattito pubblico collettivo? Chiunque si troverà a dovere e potere prendere decisioni in merito, contribuirà a definire l’uomo di domani. Sempre che si possa ancora parlare di uomo.
Articolo pubblicato su WU 124 (dicembre 2023)
In alto: immagine creata con Midjourney da Marco Agustoni
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