MARA BRAGAGNOLO – PROGETTARE PER TUTTI
La designer italiana debutta alla Milano Design Week con Nook, una serie di arredi inclusivi studiati per i più piccoli e per gli spazi comuni. Un esempio di come il buon design sia quello che pensa veramente a ognuno di noi
di Enrico S. Benincasa
Che cos’è il buon design? Una domanda come questa può avere tante risposte, ma certamente in molti includerebbero aggettivi come sostenibile e inclusivo. Mara Bragagnolo, designer con base a Torino ma con una formazione tra l’Italia e la Scozia, ha fatto proprio dell’inclusività il tratto fondamentale della sua produzione e lo mostra alla MDW con Nook, una serie di arredi per bambini che va incontro in particolare alle necessità di chi è all’interno dello spettro autistico. Un progetto che sta avendo molta attenzione e che non è un caso isolato per lei, da sempre attenta a lavorare per includere secondo le regole di quello che è semplicemente “buon design”.
Alla Milano Design Week presenti Nook, una collezione di arredi per bambini pensata per essere inclusiva. Dove possiamo trovarla?
Nook è un progetto a cui lavoro da diverso tempo, per il quale ho curato il design in prima persona. Per la sua realizzazione, invece, ho lavorato insieme a Giancarlo Guadagno e al suo laboratorio Not Design Lab. Nook sarà esposta in versione completa a Superstudio Più, nel museo di Flavio Lucchini, mentre a Porta Venezia, nella biblioteca Venezia, suo “habitat naturale” in quanto nata proprio per spazi come questo, saranno presenti alcuni pezzi. Poi, in collaborazione con Isola Design District, terrò in quei giorni un workshop di design insieme all’associazione TOG.
Un bel debutto alla Design Week…
Sono molto contenta anche perché è un progetto semplice. Abbiamo scelto materiali con un costo accessibile, ragionando molto sull’assemblamento e sulla logistica, creando box facilmente trasportabili. Sono tutti aspetti che ritengo importanti quando si parla di arredi pensati per essere inclusivi e per vivere in spazi comuni.
Il design inclusivo è uno dei tratti caratteristici della tua progettazione. Come hai iniziato?
Mi dedico all’inclusione su tutti i fronti da sempre, sin dai tempi dell’univer- sità, dove ho seguito corsi specifici. È un tema che mi tocca anche da vicino perché, da adulta, ho scoperto di essere all’interno dello spettro autistico. Con lo studio ho capito quanto conta l’apporto sensoriale nel design e come creare pensando a quella che può essere una minoranza spesso porti beneficio per tutti, perché si tratta il più delle volte di creare cose più semplici da usare. Insomma, di creare buon design.
Questo approccio inclusivo è presente anche in Doyenne, il brand di skateboarding che hai co-fondato in Scozia insieme ad altre ragazze…
Sì, Doyenne sin dalla sua nascita ha come tratto fondante l’inclusività. Abbiamo fatto diversi progetti con persone neurodivergenti, arrivando anche a collaborare con Nike SB e inserendo dettagli inclusivi nella collezione che abbiamo prodotto insieme. Per esempio, abbiamo realizzato delle giacche con i bottoni magnetici, un dettaglio che a prima vista può non essere considerato importante, ma è fondamentale per una persona con disabilità motorie. E, anche se solitamente non si va in tavola con la giacca, con questa non ci sono particolari problemi perché si sbottona nel momento in cui si aprono le braccia.
Il discorso è pensare in maniera differente.
Spesso l’inclusività è associata all’aumento dei costi e a tecnologie complesse, cosa che in realtà non è vera se si parte da zero. Pensare dall’inizio in maniera inclusiva può portare anche a risparmiare. Il problema nasce quando si deve convertire qualcosa di già esistente, ma spesso è solo questa parte che viene associata al concetto di design inclusivo. È un approccio che può essere percepito come noioso e non troppo creativo, ma non è così, bisogna un po’ sfatare questo mito anche a livello accademico. Le cose però stanno cambiando, ci sono più corsi, se ne parla di più, un po’ come accade per la sostenibilità.
È possibile, con l’aumentare del trend, una effetto tipo green washing sull’inclusività?
Il rischio c’è, ma è un aspetto che sarebbe bilanciato da un maggiore interesse nei confronti del tema. La cosa principale, però, è coinvolgere nel discorso designer e progettisti che hanno delle disabilità: per quanto si può studiare o approfondire, anche attraverso il co-design, c’è bisogno di loro nel mondo della progettazione. Le persone disabili devono essere parte del discorso, mai escluse.
Com’è la scena skate a Glasgow?
È una scena piccola, ma molto attiva. Quando ero a Glasgow, c’erano pochissime donne in tavola. Notavamo l’interesse, ma era come ci fossero troppi ostacoli – anche autogenerati – che impedivano a molte di provare. Così con Doyenne abbiamo iniziato a fare lezioni aperte a tutti, iniziativa che ha avuto successo e che ha permesso la creazione di tante piccole comunità che ancora esistono. Negli ultimi anni lo skateboarding sta cam- biando, con persone provenienti da minoranze che si sono avvicinate a questo mondo e che hanno contribui- to all’arricchimento della scena.
Intervista pubblicata su WU 125 (aprile 2024). La foto in alto di Mara Bragagnolo è di Giulia Angelucci
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