IL FENOMENO SOBER CURIOUS
Stare lontani dall’alcol non è più un tabù, soprattutto per i più giovani. L’approccio sober curious guadagna consensi, anche perché non mancano le alternative a gradazione zero nel bicchiere
di Alessandra Lanza
L’astensione è forse il trend di questi anni Venti (e pensare che un secolo fa c’era il proibizionismo!). E non solo dal voto, come hanno testimoniato le ultime elezioni europee: dagli USA arriva il concetto di “boy sober”, una sorta di celibato in cui ci si astiene dalle frequentazioni e dal sesso. Ma si può anche uscire da sobri, come predica un’altra tendenza, quella del “sober dating”, in particolare quando si tratta del primo appuntamento: la Gen Z preferisce conoscere qualcuno di nuovo senza il filtro dell’alcool, per capire se davvero si nutre interesse per la persona che si ha di fronte. Io, esponente della generazione precedente, cresciuta in generale a birrette e negroni e meno cosciente dei propri diritti – compreso quello di rifiutare un bicchiere di vino –, ho abbracciato da ormai oltre un anno il mio viaggio “sober curious”, espressione coniata nel 2018 dalla giornalista inglese Ruby Warrington che identifica chi adotta un approccio al consumo di alcol con- sapevole e flessibile. Non significa diventare 100% astemi, ma darsi la possibilità di consumare alcol in maniera misurata – visto che in Europa l’alcol, per dire, è il terzo fattore di rischio per decessi e invalidità dopo tabacco e ipertensione. Cerco di bere poco, bene e solo in occasioni speciali, optando spesso per opzioni No/Lo, cioè no alcol (per la legge europea tutte quelle bevande sotto lo 0,5% di gradazione) o low alcol (tra lo 0,5% e l’1,2%).
Secondo un sondaggio del 2023 di Gallup, i giovani adulti (18-24) americani, bevono molto meno rispetto a vent’anni fa: dal 72% di bevitori, siamo scesi al 62% e sempre meno ragazzi si sbronzano (il 13%, dal 21%). I dati italiani del 2022 parlano di 36 milioni di consumatori, con 10,2 milioni di maggiorenni che bevo- no quotidianamente; circa 8 milioni di persone di età superiore a 11 anni (21,2% degli uomini e 9,1% delle donne) hanno bevuto quantità di alcol tali da esporre la propria salute a rischio, in aumento rispetto agli anni precedenti, e 3,7 milioni di persone hanno bevuto per ubriacarsi.
In Italia convivialità e gradazione alcolica vanno spesso di pari passo, ma anche qui, dopo Usa e Nord Europa, sta crescendo la richiesta di alternative, insieme all’offerta e alla discussione sul tema. Nel 2023 è nata La Sobreria, piccola community digitale dedicata alla divulgazione del settore degli analcolici che si rivolge a chi vuole bere meno o è semplicemente curioso di scoprire un mondo in espansione. A fondare la pagina Instagram è stata la 34enne Sofia Girelli, che racconta: «Nella mia vita quotidiana mi occupo di design, forse è proprio la mia deformazione professionale che mi ha portato ad appassionarmi a una visione del mondo “nuova”. Mi sono avvicinata agli analcolici anche per esigenze personali, ho sempre fatto molta “festa” ma, essendo portatrice di una malattia intestinale cronica, ho dovuto darmi una calmata, e così ho scoperto che non per forza dove- va essere sinonimo di noia».
Grazie a Sofia, a Nicolò Paganelli (gastronomo e fondatore di Spontaneus lab, realtà di ricerca in ambito di food innovation e fermentazione) e Riccardo Astolfi (food innovator specializzato nello sviluppo sostenibile in campo alimentare), a gennaio 2024 si è tenuta la prima edizione di No/Lo Bolo, una fiera dedicata a operatori e produttori del settore, in grado di rendere i propri prodotti appetibili grazie anche a una grande attenzione al design. Si parla sempre di più anche da noi di “vino dealcolato”, con ancora svariati limiti dal punto di vista della legislazione, mentre le versioni No/Lo alcol di birre e spirits sono già molto più diffuse: dai brand più famosi di gin, vodka e così via che propongono le versioni 0.0, a quelli che nascono proprio con un’offerta No/Lo destinata alla mixology e ai mocktail (cioè i cocktail analcolici).
A Settimo Torinese, di recente ha fatto notizia Atipico, il bar alcol free (all’estero li chiamano “Temperance Bar”) aperto da Davide Piastra, dove i mocktail vengono ottenuti con l’utilizzo di vini, prosecchi e liquori dealcolati. Piastra è mosso da motivi spirituali – la religione islamica vieta il consumo di alcol – ma a frequentare il locale sono soprattutto donne incinte. A Milano, in zona Crocetta, un cocktail bar come Lacerba ha optato per inserire in carta un’intera pagina di mocktail. Per non creare imbarazzi, per le versioni con e senz’alcol vengono usati gli stessi bicchieri.
Per chi vuole andare oltre e scoprire sapori nuovi, c’è un panorama sempre più ampio di bevande che sostituiscono i soft drink più comuni, come i proxies (bevande botaniche fermentante) anche made in Italy, da quelli a base di barbabietola di Feral al kefir d’acqua di Tibi (o Tibicos, bevanda probiotica ottenuta grazie a fermenti e lieviti che si nutrono di zuccheri e vitalizzano il liquido), fino alla Kombucha, bevanda fermentata a base di tè che in Italia vede diversi produttori, da Mia a Legend Kombucha, a Funky Fermenteria e PaoPao. Come racconta Gabriele, uno dei quattro co-fondatori di Mia Kombucha, «bere analcolici non è da sfigati, e vorremmo ridargli dignità».
Nella foto in alto: foto di Chris Ralston da Unsplash
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Alessandra Lanza
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