GOGA MASON – NATA TRA LE SORGENTI, CRESCIUTA NELLA VISIONE
Le sue creazioni posso essere accomunate da una parola, libertà. Ma da dove nasce tutto ciò? Sicuramente dal luogo in cui è cresciuta, ma anche dalle esperienze successive e dalle persone che ha incrociato nella sua vita
di Carolina Saporiti
Definire Goga Mason non è facile. Creatrice di animazioni, ricamatrice, dj… Sentirla parlare è come essere trascinati dalla corrente di un fiume, forse perché proprio accanto a un corso d’acqua – ritenuto magico dalla comunità – è nata e cresciuta. Ora vive a Trieste con il suo “sposo”, come lo chiama lei, che da sempre produce le musiche per le sue animazioni. Parlando con Goga si ha la sensazione, sempre più rara, di trovarsi di fronte a un’anima profondamente libera e che ammalia, un po’ come una maga. E, anche leggendo le sue risposte, questo feeling si conferma.
Partiamo dall’inizio: com’è stata la tua formazione?
Ho fatto il liceo artistico a Treviso, poi l’Accademia di Brera a Milano – che in teoria era la più interessante – e poi la scuola di ricerca grafica a Bruxelles. Però le cose che ho imparato davvero le ho imparate in Russia. In un mese, lì, ho capito cose che mi sono servite in tutto quello che ho fatto dopo.
Come mai sei finita in Russia? Cosa ti ha portato in questo Paese?
È successo tutto in modo strano: un’estate ho ricevuto una mail su Couchsurfing da Yura Boguslavsky, un animatore famosissimo che mi invitava a partecipare a un laboratorio di animazione che si teneva a Padova. Non so come mi abbia trovata. Io il messaggio l’ho visto mesi dopo e gli ho risposto: «Se venissi io in Russia?». E lui mi ha detto che mi avrebbe ospitata. E così sono andata quando c’era un festival di animazione, dove ho conosciuto animatori russi bravissimi.
Cosa hai imparato da quella esperienza?
Che le animazioni si possono fare a mano. Pensavo fosse difficilissimo, invece era più semplice e più diretto. A me non interessa particolarmente la tecnica, vanno bene sia il disegno a mano libera, sia il digitale, quello che conta è che si percepisca la vita nell’animazione e in effetti a mano è più facile ottenere quel respiro.
Dicevi che sei cresciuta in Veneto. Sei legata a quei luoghi?
Sì, tantissimo. Vengo da Casacorba, un piccolo paese con delle sorgenti da cui nasce un fiume pieno di storie. È un fiume di risorgiva, le bolle arrivano dal sottoterra, ma la gente in passato pensava fosse profondo all’infinito, pieno di fate e misteri. In realtà è una palude bonificata e devo dirti che io mi sento molto affine alla palude. È un luogo che non serve a niente, se non ai rospi, alle fatine e alle piante strane. Mi rappresenta totalmente.

Uno dei ricami di Goga Mason
Nel senso che ti senti inutile?
Sono estremamente produttiva, ma non amo esserlo per uno scopo. È raro che accetti di fare un lavoro per altri. Se lo faccio, è perché mi hanno davvero convinta.
Quindi lavori solo su progetti tuoi?
Sì, per quanto riguarda ricami e animazioni. Poi ci sono i live, che sono un’altra cosa. Faccio la dj, soprattutto durante le serate techno e faccio proiezioni di mie animazioni. Ho cominciato nei centri sociali, dove c’era grande libertà e la musica techno è perfetta per certi tipi di proiezioni. Non che la ami, ma mi sembra di accompagnare le persone in un’esperienza.
Cosa proietti durante i tuoi live?
Faccio cose matte. Uso il microscopio USB, l’endoscopio, i brillantini, la saliva, disegno in diretta. È una cosa molto selvaggia e improvvisata. Poi crescendo mi hanno invitata in contesti più “tranquilli” come le gallerie e lì la relazione con il pubblico è diversa. A me però non interessa che la gente si faccia un’opinione, mi interessa che viva l’esperienza.
Com’è arrivato il ricamo nella tua vita?
È una storia lunga. Mi sono sposata 13 anni fa con il mio musicista e abbiamo deciso di farlo in Sardegna, a Sant’Antioco. Lì ho conosciuto Chiara Vigo, una ricamatrice che lavora col bisso, una fibra marina rarissima. È una donna molto forte, una specie di “strega”, e io non posso fare a meno di
pensare che qualcosa sia passato, da lei a me, come per incantesimo. Poi sono andata a lavorare da una restauratrice di tappeti da cui ho imparato moltissimo, ma mi sentivo anche censurata. Anche la nonna del mio sposo era ricamatrice, mi ha prestato il primo telaietto e le avevo promesso che mi sarei occupata io di tutte le sue cose. Mi sono ritrovata con così tanta roba che ho pensato, “posso addirittura provare a fare i fotogrammi con i ricami”.
Dici che l’arte del ricamo è una pratica ancestrale. In che senso?
Esiste in noi, però è anche molto bloccata, per questo il focus nei miei laboratori, che organizzo una o due volte al mese, è dire a chi partecipa «lo sai già fare e non serve che fai quello che ha fatto tua nonna», è proprio importante immaginare qualcos’altro. Io credo che se tu immagini una cosa e la realizzi nel ricamo è già mezza risolta. Quindi è una forma di cura.
Mi togli un’ultima curiosità: da dove arriva il nome Goga?
Il mio vero nome è Federica. Ma da ragazzina un amico ha iniziato a chiamarmi Goga perché, secondo lui, avevo dei poteri magici e io, da quel momento, non ho mai detto che non fosse vero.
Nelle foto: Goga Mason
Intervista pubblicata su WU 132 (giugno 2025)