BIENNALE 82 – LA GRAZIA DI PAOLO SORRENTINO
Dopo anni l’onore di aprire la Mostra d’arte Cinematografica di Venezia, alla sua 82esima edizione, torna italiano grazie all’opera ultima di Paolo Sorrentino, di ritorno al Lido dopo il successo di È Stata la Mano di Dio. Sempre affiancato da Toni Servillo ovviamente. Al cinema dal 15 gennaio 2026
di Davide Colli
Da più di un decennio l’impronta di Paolo Sorrentino è diventata nota ai più, dagli incalliti cinefili agli spettatori occasionali, costituendo una parte tangibile dell’immaginario collettivo nostrano. Solitamente una cifra stilistica così riconoscibile (e apprezzata, seppur con divisione) viene trasformata in marchio: un vero e proprio brand con una linea editoriale e regole da rispettare per poter identificare un certo prodotto di proprietà di quel determinato autore.
L’evoluzione di questo processo può portare a un punto dove la forma del regista sovrasta il resto del film e, in relazione a questo discorso, Partenope può essere considerato il punto di non ritorno per Sorrentino.
La Grazia, segretissimo progetto che arriva a distanza di poco più di un anno dal film con Celeste Della Porta, costituisce un superamento di questa parentesi nel lavoro di Sorrentino. Prima di tutto, si assiste a una notevole uscita dalla sua confort zone contenutistica, portando il suo interesse verso argomenti di estrema rilevanza per la sensibilità odierna (solo con The Young Pope e The New Pope aveva dimostrato un simile coraggio), come l’eutanasia e la violenza domestica.
Questa (piccola) rivoluzione prosegue anche da un punto di vista tecnico, in quanto Sorrentino, come mai prima d’ora, sceglie di usare anche immagini povere. Il suo pubblico di affezionati si è già abituato al suo gusto del kitsch e del grottesco, specialmente all’interno dei segmenti più onirici delle sue opere, ma sempre dentro una cornice formale rigorosa. La Grazia vede probabilmente per la prima volta nella sua carriera, per citare l’esempio più lampante, un uso (anche massiccio) della macchina a mano.
Eppure, anche constatando un parziale messa in discussione, il risultato finale è ridondante. Non certo per colpa di Toni Servillo e Anna Ferzetti, protagonisti di coinvolgenti duetti, ma di una scrittura non all’altezza. La magniloquenza del cinema di Sorrentino sembra qui tornata solo per rendere più difficoltosa la fruizione dell’opera (che non necessitava un minutaggio così dilungato) e non proponendo gli affascinanti idee e soluzioni visive con le quali arricchiva il suo perenne gioco tra registri.
Persino i momenti in cui riflette sul ruolo di cui il suo cinema è riuscito a impadronirsi nella cultura contemporanea (legati a un esilarante cameo) rimangono relegati a una recurring gag sullo sfondo di un intreccio senza interessanti deviazioni e che lascia troppo abbozzate le intriganti questioni che pone sul tavolo. La speranza è che La Grazia costituisca solo un primo imperfetto passo verso l’ingresso in una nuova fase di carriera, che torni effettivamente a stupire pubblico e critica fuori dalla sala.
Nella foto in alto: Toni Servillo ne ‘La grazia’, foto di Toni Pirrello
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