FABIO PETANI – LA CHIMICA VERDE
Dai muri di New York ai festival internazionali, il suo è un viaggio artistico che fonde piante, chimica e narrazione visiva, trasformando ogni muro in un racconto che dialoga con il luogo e con chi lo vive
di Enrico S. Benincasa
Fabio Petani ha da poco realizzato Botanic Pulse, murale ospitato all’interno del parco di Hell’s Kitchen a New York e che fa parte di Walls of Tomorrow, progetto dell’associazione Yourban2030 che mira a raccontare con 17 interventi artistici il programma di Agenda 2030 dell’ONU. I legami tra il mondo vegetale e quello della chimica che ha sempre espresso nella sua produzione hanno reso Fabio Petani il candidato ideale per questa iniziativa ma, in generale, il suo è un approccio che gli ha consentito di distinguersi nel mondo dell’arte urbana per la capacità di dialogare con il luogo che accoglie le sue opere. E i pressoché infiniti collegamenti tra la botanica e gli elementi della tavola periodica − anche combinati − gli consentiranno di continuare a farlo ancora a lungo.
La scorsa primavera, tra la fine di maggio e gli inizi di giugno, è stato inaugurato ufficialmente a New York, all’interno dell’Hell’s Kitchen Park, Botanic Pulse, il murale che hai realizzato per il progetto di Yourban2030 Walls of Tomorrow. Era la prima volta che dipingevi fuori dall’Europa?
Sì, in passato avevo già fatto altri progetti di tipo espositivo, ma non avevo ancora dipinto un muro. Era da diverso tempo che ci lavoravamo insieme a Yourban2030 e, dal momento che l’opera è ospitata all’interno di un parco pubblico, ci sono stati diversi passaggi di approvazione tra le varie componenti coinvolte che hanno inciso sulle tempistiche. Con Yourban2030 ci conosciamo e abbiamo instaurato un dialogo proficuo, durante la fase di progettazione è andato tutto alla perfe- zione. E anche durante la lavorazione è andato tutto bene: c’è stato un dialogo interessante con chi si è fermato, anche solo per chiedere cosa stavamo facendo.
Sei soddisfatto del risultato di Botanic Pulse?
Sì, molto. Puoi immaginare quanto sia importante per un artista urbano realizzare un murale a New York. È il posto in cui tutti vorremmo riuscire a fare un pezzo, è normale sia così. Ho cercato insieme a Yourban2030 di dare il massimo e sono contento di quello che abbiamo realizzato insieme.

‘Botanic Pulse’ a New York
Nel tuo percorso artistico hai cercato di mettere in correlazione il mondo delle piante e della botanica con quello della chimica. Perché hai scelto di approfondire questo “binomio” nei tuoi lavori?
Perché è un’associazione, quella tra chimica e botanica, che mi ha dato − e mi dà ancora oggi − la possibilità di distinguermi e di connettere un’opera con il territorio dove sorgerà. Cerco di creare un doppio livello di narrazione: uno più estetico, l’altro con una profondità diversa, che provo a raggiungere anche con elementi più visivi e grafici, come per esempio i cerchi. Ogni opera è accompagnata da una targa che fornisce i dettagli dell’abbinamento e perché c’è un legame con il posto dove è stato realizzato.
Come arrivi a determinare le connessioni tra piante, chimica e luogo che ospiterà l’opera?
Dipende, non c’è un’unica via. Alle volte sono arrivati spunti da persone del luogo o dagli organizzatori dei festival, altre arrivano dallo studio che precede la preparazione anche solo di un bozzetto. Se ti metti a fare ricerca su questi temi non ti devi fermare al primo risultato che ti fornisce Google, approfondendo trovi cose sorprendenti, spesso sconosciute anche alle persone che un determinato luogo lo vivono e lo conoscono bene.
Come riesci a bilanciare la necessità narrativa di queste connessioni con l’aspetto estetico che hai in mente di realizzare?
Come per ogni artista il livello prettamente estetico è importante. Ovviamente ci deve essere un bilanciamento, nessuno dei due deve mangiarsi l’altro. L’obiettivo è sempre quello di evitare cose troppo telefonate e cercare storie interessanti. Per esempio, ho dipinto a Ponticelli, quartiere non semplice di Napoli, il murale ‘O sciore cchiù felice, dove la pianta protagonista è il gigaro comune. Ho scoperto che nella tradizione di quei luoghi − e non solo − questa è una pianta che veniva usata per augurare serenità, e mi è sembrata subito centrata per quella situazione.

‘Essenze di Gallura’ ad Arzachena
Spostiamoci un attimo dai muri: cambia la tua prospettiva quando lavori su tela?
Quando lavoro con il muro la parte narrativa è molto influenzata dalla relazione con il luogo e con lo spazio. Su tela, inevitabilmente, l’ampiezza della “forbice narrativa” si riduce. Ciò non implica che non si possano fare cose comunque stimolanti an- che da questo punto di vista, magari utilizzando diversamente componenti estetiche come la forma e il colore.
Ci sono connessioni tra botanica e chimica che non hai ancora realizzato?
All’inizio il mio obiettivo era quello di creare una sorta di erbario connesso ai 118 elementi della tavola periodica. Una volta usati tutti, ho deciso di mantenere questa linea utilizzando i composti e, in quest’ottica, le possibilità di continuare sono pressoché infinite. Mi piace l’idea di dare qualcosa in più, qualcosa di diverso con le mie opere, dove accanto al discorso estetico se ne affianca uno diverso.

‘Magnesium Cloryde & Gossypium Tomentosum’ di Fabio Petani a Civitanova Marche
Ogni muro, per ogni artista urbano, è sempre una sfida?
Sì, è così e io le ho sempre accolte sin dagli inizi. Ho mosso i primi passi in questo mondo grazie a un’associazione che si chiama Il cerchio e le gocce, all’interno della quale c’erano artisti più preparati e con un background più solido del mio. In quel periodo, quando si apriva una possibilità, quando si presentava un’occasione, non me la facevo sfuggire. Ho sempre avuto questa mentalità: preferisco mettermi alla prova e sbagliare piuttosto che avere il rimpianto di non averci tentato. E questo vale anche oggi, in maniera diversa, attraverso la sperimentazione. Ho visto tanti artisti bravissimi fossilizzarsi e, per evitarlo, cerco sempre invece di aggiungere o togliere qualcosa, anche se si parla di dettagli che posso comprendere solo io o ai più attenti ai miei lavori. Per esempio, nel lavoro di New York ho aggiunto un vaso, una cosa che non avevo fatto prima. Ma è un elemento che non so se riproporrò in futuro, perché ho notato che è più utilizzato di quello che pensavo. È un po’ un procedere per esclusione, ma fa parte del gioco. Certo, ci possono essere similitudini con altri artisti, ma penso di avere a mia disposizione una serie di elementi riconoscibili con cui posso esprimermi, sempre all’interno di un contesto che è molto mio.
Che cosa realizzerà Fabio Petani nel prossimo futuro?
Andrò a breve in Kosovo per un festival, anche in quel caso sperimenterò qualcosa di nuovo ma sempre in linea con la mia produzione. Poi ho un progetto in Sicilia, in provincia di Agrigento. È un muro che aspetto da un po’, perché sarà su una parete particolare, non liscia e con delle finestre, dove cercherò di dialogare in maniera profonda con l’architettura.
Nella foto in alto: Fabio Petani
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