DENTRO CHERNOBYL
A oltre vent’anni dal disastro nucleare nella centrale ucraina, l’intera area di Chernobyl vive un momento di particolare esposizione mediatica grazie alla recente serie di HBO. È nato un interesse turistico che cresce ogni giorno, ma cosa vuol dire oggi visitare questo luogo?
di Enrico S. Benincasa
Nell’aprile 1986, in pochi avrebbero potuto immaginare quello che sarebbe successo a Chernobyl vent’anni dopo il grave incidente che ha reso suo malgrado famosa questa città ucraina, posta a cento chilometri da Kiev e a circa 15 dal confine con la Bielorussia. L’interesse per i luoghi abbandonati e – soprattutto – la recente serie TV prodotta da HBO, hanno trasformato l’area del disastro in una attrazione del Paese ex sovietico, con numeri crescenti di persone che vogliono recarsi in questo luogo ancora oggi non del tutto accessibile. Un interesse turistico talmente vivo che riguarda anche la centrale lituana di Ignalina, costruita nello stesso periodo e scelta dal network americano per girare le varie puntate.
L’area di Chernobyl, come dicevamo, è un luogo visitabile in parte, ma nella capitale ucraina ci sono tour operator che permettono a turisti e curiosi di farlo anche in giornata. Diana Buele, nel corso di un road trip in questa parte d’Europa, ha deciso di vedere con i suoi occhi cosa c’è dietro i checkpoint che danno accesso all’area: «Oggi vivo in Norvegia, ma sono nata e cresciuta in Lituania, un Paese che è stato coinvolto da vicino nel disastro nucleare. La prima volta che ho pensato veramente di visitare Chernobyl è stata nel 2012, dopo aver visto l’horror Chernobyl Diaries, poi però ho lasciato stare. Ho deciso di andarci insieme ai miei amici mentre mi trovavo a Kiev: abbiamo scelto di prenotare un tour di un giorno con una guida, perché è un posto in cui è meglio non accedere non accompagnati».
Per partecipare a questi tour occorre prendere precauzioni: non si può, per esempio, andare in shorts o a maniche corte, gambe e braccia devono essere coperte così come la testa. Occorre avere sempre i documenti con sé perché vengono controllati a ogni checkpoint, rendendo così lunghe le attese ai varchi di ingresso. Una volta entrati nell’area ad accesso limitato chi lo desidera può avere un contatore Geiger, ma a tutti viene dato uno strumento da appendere al collo che misura il livello di radiazioni a cui ci si espone durante la visita.
Sebbene si oltrepassino i limiti di sicurezza, l’esposizione per poche ore o per pochi giorni non è considerata pericolosa per la salute. A ogni modo, le precauzioni da prendere una volta entrati non sono finite: «Le radiazioni si concentrano sul terreno, sulla vegetazione e sugli edifici – ci racconta Diana – per questo è necessario attenersi ai percorsi e non toccare nulla, soprattutto cose che sembrano essere lì da molto tempo. Non ci si può sedere se non è esplicitamente consentito e non si può sostare lungo i sentieri. Quando si risale sul bus bisogna pulirsi le scarpe molto bene, sono molto attenti a questo. Il paesaggio selvaggio ti dà una sensazione di abbandono, la vegetazione è folta e ci sono alberi ed erba alta dappertutto».
Una volta dentro è possibile testare con mano come, a seconda di dove ci si trovi, il livello di radiazioni sia diverso: «Ci sono alcuni hot spot dove si raggiungono i massimi livelli – continua Diana – le guide danno la possibilità a chi vuole di visitarli. C’è perfino un tratto che si attraversa in bus dove il livello di radiazioni è molto significativo, tanto che ci si passa alla svelta e senza scendere». L’area di Chernobyl è un luogo abbandonato, ma non del tutto: al suo interno diverse persone ci lavorano, tra militari predisposti al controllo e personale vario, e c’è anche qualcuno che ancora ci vive. C’è persino una pompa di benzina e anche un posto dove mangiare. L’ingresso di questo locale è regolato da un rilevatore di radiazioni, non si può entrare se il livello è troppo alto. Lo stesso rilevatore è posto ai checkpoint e, se il body scanner rileva che si è fuori dai limiti, può succedere che non sia consentito lasciare l’area con i propri vestiti e scarpe.
I tour autorizzati, però, non sono i soli che vengono organizzati: «So che ci sono dei gruppi di persone che vanno a Chernobyl illegalmente e hanno messo in piedi visite più estreme, dove si possono vedere più cose di quelle previste da un tour ufficiale. Sono sicura che ci sono persone che vi partecipano da tutto il mondo, ma non per nulla sicuro», precisa Diana. Permangono poi episodi di sciacallaggio, dato che negli appartamenti abbandonati ci sono ancora oggetti, soprattutto in metallo, che possono avere un valore nel mercato nero in Ucraina.
La vegetazione si sta mangiando l’area, i palazzi di Pripyat stanno diventando parte di questo ecosistema nel quale ci sono anche gli animali. La fauna selvatica è in crescita anche per via del divieto di caccia locale e ci sono diversi cani randagi, i cosiddetti “cani di Chernobyl”: li puoi vedere girare e spesso si avvicinano per ricevere qualche coccola. Sono tutti sterilizzati e microchippati, ma nessuno li adotta per via della loro provenienza.
Diana ha visitato l’area senza portarsi dietro una reflex: aveva uno smartphone, con cui ha scattato le foto che vedete in queste pagine, e una Lomo. Una volta sviluppato il rullino, però, ha trovato una sorpresa: «Ho fatto diverse foto in pellicola in Ucraina, ma solo quelle scattate a Chernobyl sono danneggiate o hanno un aspetto strano. Mi è venuto da pensare che le radiazioni abbiano avuto effetto sulla pellicola». Alla fine della nostra chiacchierata, le chiediamo perché ha senso visitare questo luogo: «Se volete andarci fatelo con una guida riconosciuta, sia per la vostra salute sia perché è giusto rispettare quest’area. Non è un parco giochi dove si può fare quello che si vuole. È un luogo pericoloso che ha una storia triste, diverse persone sono morte e altre sono state forzate a lasciare le loro case e le loro vite. È un’esperienza che ha senso fare per capire da vicino cosa è stato e cosa è oggi Chernobyl, ma non è un luogo dove si va per divertirsi».
Articolo pubblicato su WU 99 (dicembre 2019 – gennaio 2020). Tutte le foto in questa pagina sono di Diana Buele.
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