FILIPPO TORTU – SENZA LIMITI
Filippo Tortu, a soli vent’anni, è stato il primo italiano a correre i 100 metri sotto i 10 secondi e oggi è diventato campione olimpico
di Stefano Ampollini
Oggi 6 agosto 2021 Filippo Tortu, Marcel Jacobs, Lorenzo Patta e Fausto Desalu hanno scritto una delle pagine più incredibili dello sport italiano vincendo l’oro nella 4 x 100 maschile alle Olimpiadi di Tokyo. Vi riproponiamo l’intervista che abbiamo realizzato a Filippo lo scorso anno, a settembre, alla fine di un’estate per lui – e per tutti gli atleti olimpici – molto particolare.
L’estate 2020 è stata senz’altro particolare per tutti, anche per Filippo Tortu: quel circoletto rosso sul 2 agosto, data della finale dei 100 metri, ha purtroppo perso di importanza per via della pandemia. L’appuntamento con il sogno di una carriera è rimandato di un anno: in mezzo ci saranno tanti allenamenti e gare per rimettere nel mirino questo obiettivo. La bella stagione l’ha passata allenandosi in Sardegna, terra di origine di suo papà e allenatore, gareggiando quando possibile e ottenendo 10”12 come miglior performance sulla pista di Savona. Tredici centesimi lontano dal suo record, che siamo sicuri prima o poi migliorerà. Magari proprio nella finale olimpica di Tokyo 2021.
Come ti sei avvicinato al mondo dell’atletica e quando hai capito che saresti diventato un velocista?
Ho sempre voluto fare atletica per seguire le orme di mio padre e di mio fratello Giacomo. Un giorno, durante una gara di mio fratello, mia madre si accorse che potevano partecipare anche i bambini sotto i sei anni e mi iscrisse. Allora ne avevo quattro e da quel momento non ho più smesso. A 15 anni vinsi gli 80 metri ai Campionati Italiani Cadetti con 9”09. Lì capii che potevo andare davvero forte. Da quel momento iniziò ad allenarmi mio padre: può anche capitare di discutere, ma certamente il fatto di essere padre e figlio è un grosso vantaggio. Nessuno mi conosce come lui.
Nel 2018 a Madrid hai corso in 9”99, battendo il record italiano di Mennea che durava da quasi 40 anni (10”01, 1979). Cosa ricordi di quei giorni?
Venivo da un paio di buoni risultati nei giorni precedenti ed ero molto tranquillo. Fisicamente stavo bene, ma per raggiungere certi tempi l’aspetto mentale è fondamentale. Di solito inizio a sentire la pressione della gara solo quando entro in pista per scaldarmi. Anche in quel caso fu così. Dopo il traguardo passò oltre un minuto prima che venisse comunicato il risultato e per me quel minuto durò un’eternità. Battere quel primato che durava da quasi 40 anni ed essere affiancato a un mostro sacro dello sport, non solo dell’atletica, come Pietro Mennea, è per me motivo d’orgoglio. Ho una grandissima ammirazione per il campione Mennea, anche se il mio modo di vivere l’atletica è sempre stato opposto al suo. Lui era tutto disciplina e abnegazione, mentre io cerco di vivere in modo più spensierato e leggero, pur mettendo il massimo impegno in tutto quello che faccio.
C’è un campione dello sport che ha rappresentato per te un punto di riferimento?
Certamente Livio Berruti. Sono cresciuto guardando le registrazioni delle Olimpiadi di Roma 1960, dove vinse i 200 metri. Fu tra i primi a congratularsi con me dopo il record di Madrid e quelli furono i complimenti che ricordo con maggior piacere. Da allora ci sentiamo spesso. Non mi dà consigli tecnici, ma parliamo di tante cose. Per me è un punto di riferimento prezioso. Fuori dall’atletica ho sempre ammirato molto Michael Phelps (nuotatore, l’olimpionico più decorato della storia, con 28 medaglie di cui 23 d’oro, NdR) e Michael Jordan. Vedere The Last Dance su Netflix mi ha fatto scoprire lati di un campione davvero unico.
Quanto pensi di poter ancora migliorare? E qual è il tuo prossimo traguardo in carriera?
Come record non mi pongo limiti e cerco di ottenere sempre il massimo e, allo stesso modo, gareggio sempre per vincere, ma ovviamente il piazzamento in una grande competizione dipende da troppi fattori e dalle annate. Nel 2001 Kim Collins con 10”07 sui 100 metri arrivò quinto ai Campionati del mondo, mentre nel 2003 con lo stesso tempo ha vinto. Il mio prossimo obiettivo sono le Olimpiadi di Tokyo. Lo spostamento al 2021 a causa del Covid 19 è stata una scelta che ho condiviso, anche se per qualsiasi sportivo è un sogno che viene infranto. Sfrutterò al massimo questo anno in più per arrivare all’appuntamento olimpico ancora più competitivo.
Come cambia Filippo Tortu fuori dalla pista di atletica? E quanto la tua vita è condizionata dal fatto di essere ormai un personaggio pubblico?Probabilmente in pista sono più determinato e deciso nel prendere decisioni che riguardano anche gli altri. Sono molto competitivo e non mi faccio scrupoli. Fuori dal campo sono più attento alle esigenze altrui. Per il resto amo e seguo molto il calcio e il basket, anche grazie all’amicizia con Gigi Datome. Inoltre amo molto la musica, soprattutto i grandi del passato come Paolo Conte, Lucio Battisti e David Bowie. Per il resto la mia vita è stata solo in parte condizionata dall’essere diventato un personaggio pubblico e vivo in maniera tranquilla l’attenzione dei media. Certamente avere un seguito sia fuori che in pista fa piacere. Diventa un problema quando diventi un’icona come Messi, Ronaldo o Michael Jordan, ma non è il mio caso.
Sei nato a Milano e cresciuto in Brianza, da padre sardo. Quanto sei legato alla Sardegna e in cosa si sente sardo?
Sono legatissimo a questa terra, forse ancor di più per il fatto di non averci vissuto, al punto che un paio d’anni fa mi sono fatto tatuare sul fianco i confini dell’isola. Quando vengo in Sardegna tutti mi fanno subito sentire parte di un popolo e questo a livello di motivazione mi aiuta molto anche in gara. Caratterialmente sono molto orgoglioso e testardo e non concedo subito fiducia agli altri, un po’ come i sardi. Prima venivo solo in vacanza, ma ormai da qualche anno ci trascorro parecchio tempo anche per affinare la preparazione al campo di Olbia.
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