CASINO ROYALE – CERCASI ALLEANZE
Poco prima dell’estate è arrivato ‘Polaris’, decimo lavoro in studio della band di Alioscia Bisceglia. Proprio con lui parliamo di come è nato questo nuovo disco e dei nuovi progetti per i quali sta cercando “alleati”
di Alessandra Lanza
Con Alioscia ci sentiamo in una mattina d’estate, lui sta uscendo da un negozio di piante, io sono a casa che cerco di recuperare la mobilità dopo un incidente in quad. Entrambi, se guardiamo in alto, siamo sotto il cielo di una Milano che ha fatto da incubatrice e da habitat naturale per i Casino Royale, nati nel 1987 – prima di me – e da poco tornati con il decimo album della loro carriera, Polaris. Mezz’ora di musica in otto tracce che racchiudono l’anima del gruppo ben incarnata nello spazio-tempo di oggi. Temi come la solitudine, il bisogno di guardarsi dentro e di capirsi sono più attuali che mai, anche se la genesi del disco è precedente alla pandemia, radicata nel 2017 e in una Milano euforica e drogata di consumi e di possibilità. Anche la veste grafica è perfetta, frutto di anni di appartenenza a un humus comune e di amicizia con DeeMo, che l’ha curata. «È la telefonata che mi gioco quando posso nel tragitto di 40 minuti che separa casa e ufficio», e con ufficio Alioscia intende Elita Bar, il locale in zona Navigli che gestisce da diversi anni.
Riascoltavo un’intervista in podcast con Andrea Girolami per Radio Raheem, c’erano in ballo mille anniversari dei vecchi album. Gli raccontavi che ti trovavi in un momento di svuotamento e riflessione in cui i temi a cui pensavi ti sembrava di averli già coperti in passato. Eppure è arrivato Polaris.
Forse Polaris è così breve anche per quel motivo. Certo, per me i temi sono sempre quelli… Almeno da quando ho iniziato a cantare in italiano – prima, in inglese, pensavo a riempire le canzoni con immaginari didascalici basati su icone e scene che seguivamo da ragazzini. Dove inserirsi all’interno dell’universo, la relazione con la comunità e Milano, il mio pianeta, che rappresenta comunque la realtà di tante altre province: per me è stato sorprendente che in quelle canzoni riuscissero a identificarsi anche persone di Reggio Calabria. D’altronde anche noi ci siamo innamorati di gente che cantava pezzi su New York, con la musica funziona così.
Cosa ti ha riportato a scrivere?
Un’esperienza spartiacque: diventando più grande e passando attraverso diversi momenti di sofferenza, anche nelle relazioni personali, sono stato costretto a fare un po’ di autoanalisi, arrivando a quelle che sono le domande. In Tra noi, la canzone più Alioscia dell’album, parlo di come siamo noi a doverci capire nel contesto, perché se continuiamo a cercare di capire solo il contesto ci sentiremo sempre sopraffatti e fuori baricentro, ma il primo testo che ho scritto è stato Ho combattuto, ispirato da una lettera di mia moglie Martina. Questa maniera di approfondire e di riflettere attraverso la scrittura non è molto distante da pezzi come Guarda in alto (contenuta nell’album Sempre più vicini del 1995, NdR), il germe è lo stesso. Forse ora era passato il tempo necessario per aver chiari topic da condividere, tra smarrimento e voglia di ritrovare una direzione. Sono un ottimista per volontà, penso che una stella polare ci può sempre essere, e prima di tutto va trovata in se stessi: come dice Josh in Scenario, è l’equilibrio del singolo che dà equilibrio al gruppo. Già nel 1994, In ogni singolo giorno, avevo detto le stesse cose. Forse valeva pena ridirle, alla fine la storia è ciclica e sono appena tornati di moda gli anni Novanta.
Sono gli anni in cui sono nata io, e anche se vi ho scoperto dopo e siete riusciti a parlare anche di me quando ero adolescente. In qualche modo siete un’eredità.
È la cosa più bella che ti possano dire. Per noi il fatto di essere intergenerazionali è una grandissima soddisfazione. Non avremo fatto i numeri dei Subsonica, ma siamo stati importanti per tante persone tra loro diversissime. Poi scrivi Polaris senza aspettative, il feedback è positivo e ti viene riconosciuta la coerenza che hai sempre avuto: il bicchiere è mezzo pieno. Certo, una volta saper scrivere era considerata un’abilità particolare e un minimo avanguardista: ora lo scenario è abbastanza diverso, c’è gente che scrive benissimo, anche se per dire il nulla.
Oggi nella comunicazione, in ogni settore, vince sempre la semplificazione.
Penso che in questo contesto, in cui si parla solo per claim, sarebbe più figo l’approfondimento, ma ormai siamo diseducati. Per noi il fatto di non essere allineati è già una conquista. La tentazione di semplificare o di provocare per avere l’attenzione, i feedback, i cliché, andare a Sanremo per allargare il pubblico facendo comunque un pezzo per Sanremo, meglio se distonico… Stimo chi lo rifiuta e fa percorsi artisticamente indipendenti, di cui penso siamo stati un esempio, tra i primissimi a firmare con una major dopo CCCP e Litfiba. Mi sembra di essere ancora un bastian contrario, quindi mi faccio i cazzi miei. Tommaso Toma comunque ha detto che Polaris sembra un fighissimo lato A di un vecchio LP.
Ci dobbiamo aspettare presto un lato B?
Scrivere non è come andare in bicicletta, è come la corsa. Un’immagine, un passaggio te li tieni lì e poi arriva il momento in cui si illuminano. Siamo abbastanza concentrati sulla vita normale, che è un casino. A febbraio 2022 comunque uscirà qualcosa: stiamo girando una sorta di film, immagini che dureranno quanto Polaris o forse di più, forse faremo un rework dei brani… Ci sembrava meglio investire in un progetto così che in un video. Poi abbiamo avviato un progetto con Perimetro, chiedendo a diversi fotografi, da Davide Monteleone ad Alessandro Zuegg, di interpretare con immagini di archivio l’ascolto del disco. Se li riverberi, li racconti, li condividi, e se hai una visione, un pensiero e una riflessione diventano più collettivi e più forti. È così che nascono le scene e i movimenti. Io sto cercando degli alleati.
In un’altra intervista esplicitavi il tema della salute mentale, secondo te poco trattato. Riflettere su temi come la solitudine ti ha aiutato ad affrontare meglio la pandemia?
Nel primo lockdown sono rimasto 40 giorni da solo, la mia famiglia era bloccata in Toscana. Quando sto da solo sono sempre un po’ terrorizzato. Ho pensato fosse una situazione epocale e sono entrato subito in modalità “sopravvivenza”. E sono anche un priviliegiato: in pandemia se volevo ghiaccio e gin per bere a casa mi bastava recuperarli nel locale, pensa se avessi avuto una cartoleria! Mi sono tenuto il più possibile impegnato cercando di condividere riflessioni e istruzioni per l’uso. Così è nato Scenario, un pezzo magico perché il suo messaggio è potentissimo: chi resta isolato soccombe, questa è la legge del branco, e io ho cercato di condividere per non sentirmi isolato, inviandolo ai miei amici e dando vita a Quarantine scenario. Questo tema del disagio e dell’angoscia vissuti in una città come Milano è uno degli altri topoi. Facendo mente locale, in effetti, parlo sempre delle stesse.
Intervista pubblicata su WU 109 (settembre 2021). Segui Alessandra su IG
Nella foto in alto: Casino Royale, foto di Sha Ribeiro
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