12H, LA PLAYLIST DEL 17 FEBBRAIO
12H è una playlist con i pezzi più interessanti usciti negli ultimi giorni, perché ci sono sempre nuove e belle canzoni da ascoltare
di Carlotta Sisti
In questo format che perdura, orma, da un anno e mezzo, saranno entrate le chiusure e riaperture di discoteche, club, balere, locali da concerto almeno cinque volte. L’apri-chiudi, reso meno pittoresco dal recente annullamento del gioco dei colori (chiusi in rosso, semi aperti in arancio, in grand plies i gialli, sulle punte i bianchi), ci ha reso creature incerte e timorose. Che faccio, lascio? No, guardi, tolga un etto di capienza, che male mi sento. Dicono che quest’ultimo via libera al ballo sia definitivo, eppure mi arrivano mail che annunciano spostamenti di live previsti per marzo a ottobre, e allora pur da persona non sospettosa, sospetto.
Ma il sospetto è qualcosa che buona parte di noi ha imparato a tenersi dentro, un po’ come gli attacchi d’ansia che ti pigliano nel bel mezzo di un volo aereo e non puoi verbalizzare e nemmeno mimare, perché altrimenti scatterebbe l’effetto domino, tipo la scena del cinema narrata da Chunk ne I Goonies. Per altro, questa più che di San Valentino, della neve e dell’inflazione alle stelle, è proprio la settimana del sospetto, quello che a nessuno dei protagonisti di Inventing Anna’ e de Il truffatore di Tinder, è sorto mai, quello da cui nemmeno la scafatissima Maddy di Euphoria si è fatta prendere, nonostante la sua migliore amica desse evidenti segni di squilibrio con sottotitolo «sono una stronza che si fa il tuo ex». Anche la mamma di Rue si rifiuta di lasciare spazio al sospetto, pure se sua figlia gira di nuovo per casa fatta come una pigna.
La settimana dell’assenza del sospetto, insomma, raccontato in contesti diversissimi ma accomunati da gente allocca che casca nel bluff di perzone falze e mitomani, fa riflettere. E fa guardare al proprio passato. Chi è stata l’Anna della mia vita? O sono forse stata io l’Anna di qualche malcapitato? Per me la seconda (credo pure la prima, ma in assenza di prove e persino di indizi, l’imputato va assolto) e questo mi fa dire che la menzogna non mi pare sia arte da menti sopraffine, ma piuttosto una forma di adattamento, di intuito primordiale che in situazioni basiche come fu la mia ti permette di rimanere a galla, nonostante il gorgo di casini che hai combinato, e che in altre più sofisticate ti consente di capire esattamente che cosa l’altro, a cui vuoi spillare favori, denaro, lavoro, voglia sentirsi dire. Il sospetto è fatica, l’alloccaggine è rilassante, e non in ultima analisi se faticavamo già nel 2017 (anno in cui Anna Delvey ha fatto il panico nell’alta società newyorkese) figuriamoci dopo due anni di pandemia. Per cui, ecco, sarà un 12H all’insegna della dabbenaggine, beata virtù.
IL RISVEGLIO:’ELECTRIC’ DI YEULE E‘WHAT, ME WORRY?’ DEI PORTUGAL. THE MAN
yeule è una specie di artista della fuga. La musica di Nat Ćmiel (all’anagrafe più specificatamente Natasha Yelin Chang), artista londinese nata a Singapore, parla di come l’idea promettente della vita digitale possa essere soffocante quanto la vita reale. Con voce tremante come quella di un’intelligenza artificiale che tenta di parlare, yeule, che ha pubblicato da poco il suo secondo lavoro in studio Princess Glitch, accorcia la barriera tra lei e noi, ci svela la loro (“them” è il pronome che desidera si usi) età, 22, e un elenco di cose che gli piacciono: «Mi piacciono le belle trame nel suono, mi piace il modo in cui mi fa sentire una certa musica, mi piace inventare i miei mondi». Electric è, in un disco complessivamente denso di confessioni e confidenza, una delle tracce più obliquamente intime, ma prima di addolcirsi si apre con un lamento disumano che ricorda il canto esoterico degli uccelli in Utopia di Björk, un ritornello la cui stranezza amplifica l’ammissione canzone: «Sei l’unico che mi conosce». La voce di yeule è quella di un essere la cui sofferenza, ma anche salvezza, si sente al di fuori di ogni possibile controllo. Dietro le parole risuona una lenta melodia sintetica, esitante e scintillante, come a fare da colonna sonora a un personaggio che sta prendendo vita e che dice di considerare il tocco di un altro come un evento estatico. yeule canta di lasciare il loro corpo “reale”, suggerendo che c’è un altro posto dove la coscienza può andare e forse è così, forse ci sarà presto, e dovremo, a quel punto, re-imparare i comportamenti essenziali, come dall’inizio del tutto. yeule, in mezzo ad un pessimismo permea ogni cosa in modo inevitabile, offre una consolazione: quando si contempla la distruzione del corpo, i bisogni che erano stati nascosti possono emergere inconsciamente, essere visti o conosciuti o amati completamente.
Sono passati cinque lunghi anni dal pop-rock alternativo dei Portugal. The Man e i loro più grande successo Feel It Still, ma la scorsa settimana il gruppo ha pubblicato un nuovo, splenite singolo, What, Me Worry?, un uptempo che funge da strizzatina d’occhio sonora, facendo del suo meglio per convincere gli ascoltatori – con l’aiuto di leccate di basso muscolose, squilli di tromba e la breve apparizione di un tamburello – che, nonostante quello che sta succedendo nel mondo, non c’è niente di cui preoccuparsi.
LA PAUSA CAFFÈ: ‘ABOMINATION’ DI SHAMIR
Il nuovo disco di Shamir, Heterosexuality, sovverte fin da subito le aspettative “pastello” e si mostra in tutta la sua ostilità quasi implacabile. Oltre al rumore industriale, ai sintetizzatori da film horror e alle stridenti drum machine, Shamir usa la sua voce, sempre sbalorditiva, per sfogarsi contro i sistemi che lo opprimono, gli spettatori che lo fissano a bocca aperta e i cosiddetti amici che lo hanno deluso. «Ti terrò il piede sul collo», ringhia sulla traccia furente grintoso Abominination e tu non dubiti per un secondo che lo intenda fare davvero. Pochi istanti dopo, ammicca e si diverte, definendosi una «Thicc tankie bitch and a custom guillotine». Il suo messaggio è chiaro: unisciti o muori. Shamir non deve ottimismo a nessuno, non solo: ci fa anche sapere che ci deve essere spazio nella scrittura di canzoni queer per uno spettro di emozioni più ampio del solo orgoglio.
PRANZO:‘IPIC’ DI YUNG KAYO O ‘INCUBI’ DI EGREEN
La musica di Kayo, pupillo di Young Thug, sembra quasi uno studio sull’impulso, e occasionalmente sull’eccesso: l’apertura “down (one kount)” vacilla in un revival pop-punk, pavoneggiandosi per le solite tre cose (collane, brand, soldi), ma si avvicina ai migliori lavori del suo mentore Thug, che hanno vivacizzato il digital pop. In un momento in cui i cantautori adolescenti vengono elogiati per la loro acutezza emotiva, il disco Kayo, DFTK, che si apre e si chiude con l’artista che si confronta con il Joker, è forse il prodotto più interessante della settimana, perché è un promemoria della profondità che si può trovare in ciò che sembra pura superficie. Gli Incubi di Egreen ti trascinano dentro, con risolutezza, senza darti appigli, e lo fanno per dieci minuti di (nostra) apnea, durante la quale non possiamo che rimanere fermi a guardare, ascoltare, sentire. La strumentale è esile e si porta addosso tutto il peso delle parole di Egreen, e lo fa con coraggio, in questo pezzo di puro rap che racconta tormenti e demoni, e allora meglio metterlo qui, quando il buio è ancora lontano.
APERITIVO:’NAZCA’ DI SIDSTOPIA
I Nazca sono un’antica civiltà che abitò nelle pianure del Perù in un periodo compreso tra il 300 a.C. e il 500 d.C. La loro testimonianza più preziosa sono i disegni che hanno lasciato e che rappresentano soprattutto gli animali tipici dell’ecosistema delle zone: balene, colibrì, pappagalli, condor e altri. Ecco, dall’altra parte dell’Oceano, affacciato sull’Adriatico, il rapper ravennate Sidstopia ha pescato da lì, da quella ricchezza di ispirazioni, ma anche dalla connessione viscerale con le cose che popolano la vita, per scrivere il singolo che anticipa il suo primo disco Asma. C’è una penna che corre libera sulle produzioni di Mattia Mennella e Natty Dub, una delle due metà del progetto Funk Shui Project, e c’è un primo tassello di un progetto fresco, attuale, interessante, da cui ci si aspetta tanto.
PRIMA DI ANDARE A DORMIRE: ‘BILLIONS’ DI CAROLINE POLACHEK O ‘KUNI’ DI LNDFK
In Billions, Polachek intraprende un’odissea vocale, muovendosi attraverso timbri diversi, inflessioni confuse e ottave con intensità cangiante. Le battute eccentriche di Polachek (“Sapore/Bugia come un marinaio/Ma lui ama come un pittore”) non puntano chiaramente a una narrazione ma ottengono quella chiarezza espressiva fortissima attraverso l’andamento giocoso della sua voce. Polachek appare nel video musicale come un cherubino, che pigiando acini d’uva canta “Dì, dimmi qualcosa” con voce scoppiettante ed effetti luccicanti. Nella strofa successiva, la abbassa di un’ottava, aggiungendo ancora un altro colore alla vivace tavolozza della traccia, e poi si ritira completamente nell’ultimo minuto, lasciando che il Trinity Choir prenda le redini per un finale epico. Sebbene costruita attorno alla sua performance vocale, Billions non si satura ma, guadagnando ogni grammo del suo enorme peso.
Di LNDFK vi consigliamo tutto il disco, perché l’italo-tunisina Linda Feki (per altro: che nome pazzesco è?) è la new best thing della scena di casa nostra, e non solo. Tra jazz e musica da film, trame orientali e beat elettronici, melodie dreamy e un sound morbido e mellifluo che avvolge dall’inizio alla fine del disco, la producer/songwriter dà forma ad un’opera attraverso cui i chiaroscuri del suo universo prendono forma. Un’opera da ascolto ricchissima nei riferimenti al cinema e alla letteratura. Che si schiude con un brano, Hana-bi, chiaro omaggio all’omonimo film di Takeshi Kitano ed alla sua colonna sonora firmata da Joe Hisaishi, che è la chiave di lettura dell’intero album, in cui fiori e fuoco, i due elementi espressi nell’ideogramma giapponese, sottolineano la connessione tra gli opposti eternamente dialoganti che costellano la drammaticità della pellicola e che risuonano perennemente nel disco. Il regista giapponese ritorna anche in Takeshi, brano che invita ad approfondire e immergersi nel lato oscuro, eludendo la solitudine, tra ritmiche cadenzate, accordi jazz e uno “scat” vocale che presenta la voce dell’artista come strumento a sé, carattere che si mantiene anche nel resto dell’album.
BONUS INSONNIA:‘MOSCOW IN THE SPRING’ DI DEAU EYES
Deau Eyes, ovvero Ali Thibodeau, musicista e cantautrice di Richmond, ha pubblicato un album di debutto scapestrato e selvaggio, quel Let It Leave del 2020 che era specchio del suo spirito avventuriero e viaggiatore. Non ha lo stesso mood, proprio a livelli di tempi di lavorazione (per il primo Deau Eyes impiegò ridicolmente poco) il suo secondo lavoro in studio, perché a pandemia l’ha costretta a rallentare, a mettere radici più profonde e a prendersi cura di sé. Così Legacies è nato più lentamente e forse faticosamente, ma che direzione avrà preso il suo suono lo scopriremo il 10 giugno, data di uscita del disco. Per ora ci godiamo il primo singolo Moscow in the Spring, il racconto di una telefonata che ha ricevuto Ali Thibodeau dal suo ex in cui le chiedeva di mollare tutto e andarsene con lui a vivere a Mosca e poi a Pechino. Ma Ali ha fatto quel che c’è da fare quando un/una/un+ ex si rifà vivo: chiedersi e chiedergli come sia possibile che si sia stati davvero insieme.
Nella foto in alto: LNDFK, foto di Mattia Giordano
La playlist 12H di WU curata da Carlotta la trovate anche su Spotify, qui sotto il player
Dello stesso autore
Carlotta Sisti
INTERVIEWS | 24 Aprile 2024
CLAUDYM – AL CENTO PER CENTO
INTERVIEWS | 7 Marzo 2024
ANY OTHER – SCELGO TUTTO…
INTERVIEWS | 9 Marzo 2023
SANTI FRANCESI – GIOIA FRENETICA
INTERVIEWS | 24 Novembre 2022
MEG – BELLISSIMO MISTERO
INTERVIEWS | 29 Settembre 2022
BIGMAMA – NIENTE TRUCCHI