‘NOPE’ DI JORDAN PEELE E LA SUA LEZIONE SUL CINEMA
Jordan Peele, giunto alla sua terza prova dietro la macchina da presa dopo ‘Scappa – Get Out’ e ‘Noi’, si cimenta con ‘Nope’ nel genere fantascientifico, raccontando la storia di una coppia di fratelli (Daniel Kaluuya e Keke Palmer) alle prese con un oggetto non identificato che sorvola il proprio ranch
di Davide Colli
Horse in Motion, a opera del fotografo Eadweard Muybridge, consiste in una serie di fotografie di un uomo sopra un cavallo a galoppo, nonché uno dei primi esperimenti di cinematografia, di immagini in movimento. Nei primi minuti di Nope, Emerald Haywood (Keke Palmer), insieme al fratello OJ (Daniel Kaluuya), afferma di essere una lontana nipote di quell’uomo afroamericano il cui nome (al contrario di quello della giumenta raffigurata, Sallie Gardner) è ignoto ai più.
È sufficiente questa breve premessa per racchiudere le tematiche portanti di questa terza fatica (da quasi 70 milioni di dollari di budget) diretta da Jordan Peele, tra i pupilli più coccolati dall’industria hollywoodiana di questa nuova ondata di registi esorditi con l’horror, di cui fanno parte anche Robert Eggers e Ari Aster. Nope, inoltre, si inserisce perfettamente nella filmografia di Peele, portando avanti un discorso razziale in maniera più velata che nei suoi precedenti lavori, forse fin troppo asserviti a tale scopo comunicativo.
In questo caso, la commistione tra sci-fi e horror non costituisce solo una vetrina che permette a Peele la trascuratezza del contributo artistico e la disumanizzazione (sempre in questo ambito) riservata alla minoranza afroamericana, bensì anche della settima arte. Come lo è stato Incontri Ravvicinati del Terzo Tipo di Steven Spielberg, con le dovute differenze di proporzioni, Nope, tramite il sottogenere fantascientifico dell’invasion movie, vuole raccontare il percorso del medium cinematografico dalle origini a oggi.
Il progresso tecnologico avanza inarrestabile, ma il cinema conserva i suoi tratti essenziali e sopravvive. Così come i due protagonisti “proseguono le orme” del trisnonno, fornendo cavalli per i grandi set ormai rivestiti da green screen, la settima arte continua a svolgere il suo ruolo di testimonianza del reale, di catturare su pellicola o in digitale, con attitudine estremamente predatoria, anche il più sfuggente degli oggetti.
Non si deve compiere l’ingenuità di etichettare Nope esclusivamente come il classico blockbuster estivo, pur essendo un’esperienza da vivere sul più ampio schermo possibile, costituendo, invece, un vivido esempio di come il cinema del presente guardi sempre più al sé stesso passato.
Nella foto in alto: Daniel Kaluuya in una scena di ‘Nope’, photo courtesy Universal Italia
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