LETTERATURA GRIGIA
Il giornalismo in crisi, la cultura che cambia e l’avvento delle newsletter, un mezzo di informazione emergente sempre più diffuso. Alcune domande a Gianvito Fanelli, strategic designer che attraverso la sua “Colazione dei campioni” parla di design, cultura, innovazione e tecnologia
di Elena Quadrio
«Nella cultura a volte le cose cambiano, e la lunghezza d’onda sociale che un tempo predominava comincia a essere superata», scrive Allison P. Davis nel suo articolo su The Cut (tradotto in italiano su Rivista Studio) riguardo al cambiamento delle tendenze culturali che, col trascorrere del tempo, si sostituiscono, veloci, all’interno della società. Davis racconta un’epoca in cui niente sembra più come prima, un cambiamento dello spirito del tempo, un vibeshift che non si capisce nemmeno troppo bene come affrontare, soffermandosi sui cambi di atmosfera potenzialmente vissuti dal tipico millennial: l’era degli hipster, della musica indie e dei jeans a vita alta (2003-2009 circa); l’era post-internet, del revival della techno e dei vestiti alla Matrix (2010-2016 circa); e l’era degli hypebeast/Woke e di “Drake at his Drakest” (Drake che più Drake non si può, 2016-2020 circa).
Questo vibeshift coinvolge inevitabilmente – vuoi anche a causa della cosiddetta crisi del giornalismo, del Covid, oltre che di diverse, altre dinamiche socio-economiche – non solo il mondo della musica e della moda, ma anche tutti gli altri aspetti che contribuiscono a formare una cultura nel suo intero, tra cui anche i modi in cui si fa (o si riceve) informazione. E oggi nel mondo dei media si fa strada, sempre di più, la newsletter.
Dal 2020, più o meno da quando la pandemia ha accelerato la crisi di quei settori da tempo in difficoltà, come quello del giornalismo, le newsletter sono diventate, insieme ai podcast, uno dei mezzi d’informazione di maggiore successo. Abbiamo chiesto a Gianvito Fanelli, di professione designer, perché due anni fa abbia iniziato a scrivere La Colazione dei Campioni, la sua newsletter su “design, contemporaneità e freschezze”: «Nel 2018 ero freelance e avevo l’esigenza di raccontare il mio lavoro a una platea di persone che potessero beneficiarne. Quello che avevo capito ai tempi, e che poi è stato confermato dall’esplosione del trend delle newsletter, è che le persone avessero bisogno di filtrare il rumore dei social media, anche di quelli più professionali come LinkedIn. Ai tempi, la cara vecchia email mi sembrò il canale giusto per il tipo di rapporto che mi permetteva di impostare con i lettori, e per la modalità di fruizione lenta e dedicata, funzionale a contenuti che richiedono maggiori riflessioni».
Un importante numero di giornalisti ha lasciato la propria redazione, iniziando a scrivere (emancipandosi) newsletter; testi informativi che arrivano comodamente nelle caselle di posta elettronica degli abbonati (che pagano quindi questo servizio), sotto forma di articoli a cadenza regolare. Del resto, le aziende giornalistiche «fanno sempre più fatica ad assumere nuove persone con contratti stabili» (come afferma Riccardo Congiu in un articolo del Post). Altri, invece, hanno semplicemente iniziato a trattare argomenti a loro particolarmente cari, diretti a un pubblico di affezionati. Fanelli, per esempio, ci ha spiegato che il suo lavoro “classico” e la sua newsletter sono complementari e interconnessi: «Col mio lavoro classico, oltre a pagare le bollette, tengo viva la mia parte più creativa e alleno le mie competenze professionali; con la newsletter alimento continuamente questa creatività, mi tengo al passo con ciò che succede nel mondo e metto alla prova la mia capacità di scrivere e comunicare la complessità».
Le newsletter non hanno sostituito del tutto le principali testate giornalistiche. È sempre Fanelli a dirci che secondo lui questo non succederà, soprattutto in Italia: «Ne parlavo l’altro giorno coi “Newsletterati”, un network di autori di newsletter di cui faccio parte. Eravamo tutti dubbiosi sulla capacità del mercato italiano di sostenerci a tal punto da farlo diventare il nostro primo lavoro, ma crediamo che una newsletter aumenti sensibilmente le opportunità lavorative collaterali e quindi le entrate».
Wikipedia inserisce le newsletter all’interno della categoria della letteratura grigia, ovvero tutto quell’insieme di testi non pubblicati attraverso i normali canali del commercio librario, ma diffusi dagli stessi autori, da enti o da organizzazioni pubbliche e private. Con la loro invenzione, e conseguentemente quella delle piattaforme per crearle e iniziare a pubblicarle in pochi minuti (Substack, per citare quella di maggior successo), i giornalisti hanno avuto la possibilità di personalizzare il proprio lavoro creativo, lasciandosi alle spalle quelle fastidiose politiche aziendali per cui, troppo spesso, la qualità dell’informazione è sacrificata in nome della velocità e del clickbait, una visione dove gli obiettivi numerici e le visualizzazioni assumono più importanza degli argomenti. Forse è proprio qui la potenza della newsletter: sono uno dei pochi medium capaci di conferire all’informazione un fascino nuovamente underground.
Articolo pubblicato su WU 115 (settembre 2022)
Nella foto in alto: foto di Manfred Richter da Pixabay
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