NELL’ERA DELL’ACQUARIO
«Sono io». Chi non l’ha detto almeno una volta ad alta voce davanti alle dieci righe di un oroscopo, lo ha di certo pensato. Chi nega, mente. Da quello sui settimanali al poetico e acculturato lavoro di Rob Brezsny, l’oroscopo è tornato in auge
di Giorgia Martini
Il tema natale è l’interpretazione simbolica della posizione delle stelle e dei pianeti per come erano visibili dal luogo e nel momento esatto in cui siamo nati. Da quello dipenderebbe il nostro modo di essere in generale, nei rapporti amicali e amorosi, nel lavoro e così via. Leggerlo ci provoca una serie di sensazioni contrastanti: da un lato le stesse che proviamo quando pensiamo agli stereotipi, che senz’altro denigriamo, ma in fondo un po’ ci fanno anche sorridere, dall’altro innegabilmente ci spinge a sederci e a metterci comodi, o anche no, davanti al film della nostra vita. Guardarci dal di fuori sembra scontato, ma quante volte effettivamente proviamo ad uscire da noi stessi e a mettere insieme i pezzi della nostra esistenza, per rispondere a quelle domande che gli altri ci rivolgono spesso prima di noi: chi siamo, cosa vogliamo, dove stiamo andando.
Sarà che siamo di nuovo nell’era dell’Acquario, proprio come nel decennio che ha visto il ‘68, ma negli ultimi anni stiamo riscoprendo le manifestazioni di piazza e l’attivismo per i diritti civili, così come la discografia completa di Raffaella Carrà e le spalline imbottite, tutto accuratamente documentato in foto su pellicola. La cultura della Generazione Z è impregnata di quello spiritualismo New Age, di cui anche l’oroscopo è parte. Ciò che più affascina di questo ritorno è la distanza a tratti incolmabile con quella tendenza che, almeno fino a oggi, avremmo detto essere dominante nel mondo in cui viviamo: quella del progresso rapido, spinto all’infinito, costruito su numeri e statistiche e teso verso un ideale di benessere che sembra dipendere solo dal “di più”. Nell’era degli esperti, delle evidenze scientifiche, dell’allontanamento da ogni forma di fede, in nome del sacro vincolo dei dati, abbiamo invece ricominciato a provare una strana forma di attrazione verso l’idea che siano i pianeti a determinare, o quantomeno influenzare, la nostra vita.
Nell’immaginario legato al passato che ci sta conquistando tutto rallenta, si riscopre l’esoterismo, l’ambientalismo, l’imperativo del lavoro viene messo in discussione e proprio l’imprescindibilità dei dati sembra divenire superflua davanti a saperi come l’astrologia. A questo proposito, esistono posti come la Valle della Luna, nell’estremo nord della Sardegna. Il nome, particolarmente evocativo, dice molto di questo luogo che sembra essere il tempio di questo spiritualismo: una vasta distesa di terra dall’aspetto lunare, rimasta uguale dagli anni Sessanta, dove vive stabilmente una comunità hippy che è continuamente meta di chi forse ha provato a cercare il benessere in quel “di più” e, non avendolo trovato, fa un tentativo col “di meno”.
Il ritorno dell’oroscopo è stato accompagnato e sostenuto da un rebranding totale della figura stessa dell’astrologa: se pensiamo all’estetica di Paolo Fox, con il suo fare da uomo delle televendite, che cavalca il palco dei programmi mattutini della Rai, non ha nulla a che vedere con il fascino sensuale di Laila Al Habash, che racconta di aver chiesto per la prima volta a cinque anni quale fosse il suo segno zodiacale e ha fatto dell’oroscopo il leitmotiv del suo primo disco Mystic Motel; o di Lumpa23, che da fine giugno racconta ogni venerdì il suo Oroscopo Mondano su Radio Raheem. È come se stelle e pianeti fossero entrati in qualche modo a far parte spontaneamente delle nostre vite, hanno preso la scena nei festival musicali, quest’anno potevamo sapere i segni zodiacali di chi suonava al Mi Ami, nelle serie tv, come in Guida astrologica per cuori infranti, o ce li portiamo in giro appesi al collo.
L’oroscopo è diventato così naturalmente parte dei nostri riferimenti culturali e nemmeno il suo parlarci direttamente, con la pretesa che i pianeti possano conoscerci meglio di noi, ci disturba più tanto. Anzi, l’idea che qualcuno possa aiutarci a trovarci nello specchio è qualcosa che ci può dare sollievo. Il suo fascino deriva certamente dal fatto che non ha nessuna pretesa di scientificità o di certezza assoluta, non è questo l’assunto su cui è nato il nuovo interesse per un sapere così antico. Come quando ascoltiamo una canzone o guardiamo un film e proviamo a cercarci nelle immagini, nei suoni, nelle parole che ci passano davanti, così leggendo l’oroscopo in fondo non parliamo con le stelle ma con noi stessi, è da noi che vengono le domande e siamo noi che rispondiamo, solo lo facciamo sotto la luce degli astri celesti.
Articolo pubblicato su WU 115 (settembre 2022)
Nella foto in alto: foto di Jacopo Spandri
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